lunedì, giugno 02, 2014
La tromba che sussurra - Incontro con CHET BAKER
Attraverso il Nostro CRISTIANO C ho l'onore di ospitare su queste pagine un racconto EMOZIONANTE, relativo all'incontro che il giornalista ALBERTO CALLIANO ebbe con CHET BAKER.
Il tutto corredato da due sue foto inedite (oltreché stupende).
Millevovecentosettantasei, Torino.
La maturita' conquistata da un anno e mezzo, l'iscrizione all'universita' - corso di grafica che non prevede la laurea- un posto di lavoro ottenuto in tempi brevissimi presso l’archivio della Gazzetta del Popolo e alcuni hobbies dove impegnare parte dello stipendio: fotografia, arti marziali, motociclette e musica.
Poi c’è anche una ragazza, ma questa è un’altra storia, incredibile se vogliamo. Ma parliamo di musica: è anche l'unica materia in cui ho sempre ottenuto il massimo dei voti sia alle elementari sia alle medie. Ha orecchio - dicono gli insegnanti - ed è portato. Per quanto mi riguarda, mi piace e basta.
Mi piace ascoltarla, mi piace suonare (anche se è una parola grossa) da solo e con gli amici nel nostro rifugio: una cantina in un condominio allestita con impegno, fatica e con l'appoggio benevolo degli inquilini della casa che dicono di non sentire nulla grazie al nostro lavoro di insonorizzazione, realizzato con centinaia di contenitori per uova, oppure...fanno finta che sia cosi!
Ma quale è la nostra musica? Il rock, ovviamente, con le sue numerose sfumature. Musica inglese e americana, con gli italiani a fare da fanalino di coda, tranne pochi eletti: PFM, Banco, Arti&Mestieri, Area e altri del mondo progressive. E gli stranieri? Troppo lungo l’elenco, ma non scordiamoci che Woodstock e l’isola di Man sono ancora vicini nel tempo e i loro echi molto forti.
Hendrix, Jefferson Airplane, Led Zeppelin, Pink Floyd, Ten Years After, Eric Clapton con gli Yardbirds, Lou Reed con i Velvet Underground; oltre a questi (mi scuso se ho lasciato per strada qualcuno) alcuni gruppi decisamente particolari, come King Crimson, Van Der Graaf, Jethro Tull.
Ecco, i Jethro Tull: ne sono innamorato, tanto che a 17 anni sono riuscito dopo sacrifici e richieste di prestiti in famiglia ad acquistare un flauto traverso Orsi che ancora suono oggi. Bellissimo, lucente, misterioso con la sua raccolta di tasti e levette.
Talmente misterioso che il problema è quello di…farlo suonare!
Soldi per lezioni, nulla. E allora, un metodo acquistato su di una bancarella di libri usati e tanta pazienza fino a che alcune note iniziano ad uscire. Circa un anno dopo, riusciamo a suonare qualche fraseggio della band. E per completare l’opera mi son fatto regalare da mia nonna un suo vecchio cappotto che ho trasformato in una sorta di palandrana ad imitazione del grande Ian Anderson; barba e capelli lunghi non mancano ed il gioco è fatto! In quanto al risultato sonoro, beh, ci si accontenta e d’altra parte anche la strumentazione è quella che è.
Una chitarra acustica segnata dal tempo, una “preziosa” Eko dodici corde, una piccola tastiera e una vecchia chitarra trasformata in basso con la sostituzione delle corde. A chiudere il cerchio un misero amplificatore dove inserire le chitarre (dotate di pick up da quattro soldi) e un microfono. Niente impianto voci o effetti. Niente batteria, in quanto… manca un batterista.
Però si suona come dannati, quasi tutte le sere.
Ma la musica, si sa, non ha confini ed ecco che, ormai ultradiciottenni, approdiamo al jazz: e ci si apre un mondo nuovo! Da lì ad iscriverci allo Swing di Via Botero dove si può ascoltare jazz quasi tutte le sere il passo è breve. Ed eccoci alla scoperta di una realtà magari difficile, ma affascinante come gli artisti e le loro storie.
Intanto siamo al 1977 e uno di questi artisti ha catturato la mia attenzione. Si chiama Chet Baker, è un bravissimo trombettista americano che suona il genere be-bop; ha suonato con grandi nomi del Jazz (da Dizzy Gillespie a Gerry Mulligan e John Coltrane) e alle spalle ha una storia sofferta, con periodi di crisi e altrettante rinascite. Leggo sui ritagli di giornale che ho recuperato alla Gazzetta del Popolo che fa “sussurrare” la tromba e usa la voce come uno strumento.
E scopro che la canzone “Ballata triste di una tromba” di Nini Rosso, che tanto mi piaceva quando ero bambino, era dedicata proprio a Chet Baker, in quel periodo rinchiuso in carcere per problemi con la droga.
Mi procuro quindi alcuni dischi di Chet Baker e scopro un modo di suonare effettivamente diverso da quelli che conoscevo.
La tromba non aggredisce mai l’ascoltatore, ma lo accompagna in una sequenza di emozioni che a tratti si ravvivano nel rispetto dello stile be-bop. E la voce, effettivamente, è melodiosa, usata con grande maestria.
Così, quando scopro che Chet Baker verrà a suonare proprio allo Swing di Torino quasi non ci credo. Ne parlo ai miei amici e anche al giornalista della Gazzetta del Popolo che segue gli spettacoli e la musica.
E nel frattempo cerco di scoprire quanto più possibile sulla vita del musicista. Tanto che alla sera fatidica, quando entriamo tutti quanti allo Swing mi pare di andare a trovare un vecchio amico: so tutto di lui!
Certo che poi, trovarmelo di fronte è tutt’altra cosa.
Alto, magro, il volto dai tratti delicati (da giovane era soprannominato “viso d’angelo” e ora ha 46 anni) segnato dalla vita e incorniciato da una folta barba che si abbina a capelli lunghi sino alle spalle. Indossa uno spesso maglione e un paio di calzoni a quadrettini che non parlano di moda, ma di vita quotidiana. Poi le mani che stringono lo strumento: non esili da musicista, ma grandi e forti da contadino.
Quindi la semplicità, quasi mista all’emozione e ad un pizzico di timidezza, con cui presenta i musicisti che lo accompagnano: il flautista Jacques Pelzer, il bassista Isla Eckinger e il pianista Harold Danko. Poi il concerto ha inizio. Lo Swing è un locale raccolto dove pare di stare sul palco con i musicisti; malgrado questo, mi alzo dalla mia postazione abbandonando il whisky (bisogna darsi un tono, no?) e vado ad inginocchiarmi sotto il palco, proprio di fronte a Chet Baker e così resto per il resto della serata, alzandomi solo per applaudire alla fine dei brani. Che sono tanti e di grande qualità: gli storici « Just Friends », « Stella By Starlight», «There's Will Never Be Another You » e altri inediti.
Cavoli - mi dico - sono qui ad un metro dal grande Chet Baker che sta suonando e che pure mi ringrazia quando lo applaudo!. Insomma passo la serata in una sorta di trance musicale e, quando lo spettacolo termina, non ci penso due volte: chiamo Chet Baker, gli dico bravo e gli stringo la mano. Lui ringrazia con garbo, quasi timidamente e mi risponde “alla prossima” in italiano.
Non ricordo molto del ritorno a casa; siamo arrivati con la mia auto, quindi devo accompagnare a casa i tre amici. Di sicuro l’ho fatto, ma spiacente, su questo ho un vuoto di memoria! Quel che ricordo benissimo è che il giorno dopo corro a comperare il disco che contiene alcuni dei brani sentiti al concerto e quasi lo consumo in pochi giorni, a forza di ascoltarlo. Ovviamente, obbligo per non so quante sere il povero giornalista degli spettacoli a fare gli straordinari, raccontandogli le mie impressioni sulla serata allo Swing.
Lui, in cambio (o per sfinimento, chissà…) mi promette che quando Chet Baker tornerà a Torino, se sarà lui ad intervistarlo, io gli farò da fotografo.
Roba da non crederci, anche se con la fotocamera sono all’epoca certo più bravo che con la chitarra!
Quanto sono lunghi tre anni?
Secondo, cosa si combina nel loro scorrere ? Ma quando il giornalista degli spettacoli sopracitato mi dice che Chet Baker suonerà a Torino, al Conservatorio, mi pare sia passato un attimo. La data è quella del 19 gennaio 1979. Questa volta, non pago il biglietto, ma entro come professionista della comunicazione e in cuor mio spero che la fotocamera proprio stasera non faccia scherzi. Così, all’ultimo, proprio prima di uscire di casa, butto dentro la borsa-corredo della fida Olympus l’indistruttibile Rolleiflex: non la userò, ma la prudenza in questi casi è di obbligo.
Arrivo puntualissimo all’incontro con il giornalista (si tratta di Sergio Trombetta); una piccola chiacchierata per spiegarmi le immagini che desidera durante l’intervista e poi, carta bianca per tutta la serata con possibilità di andare vicino al palco per scattare foto, naturalmente senza flash per non disturbare l’atmosfera. Non è un problema, penso io. Invece il problema ci sarà eccome...
Ma andiamo per ordine. Entriamo nel camerino e vedo un Chet Baker diverso da come lo avevo conosciuto: capelli corti, barba rasata sul volto magro, grossi occhiali da vista in tartaruga, giacca.
Siede vicino ad un pianoforte e appena ci vede mi guarda e dice I remember you; Swing, three years ago!.
Mentre Sergio Trombetta dice Vedo che vi conoscete già io non riesco a capacitarmi della cosa e nemmeno a spiaccicare quattro parole del mio orripilante inglese. Poi, mi riprendo, lo saluto e gli chiedo come va. Ma come - penso - sono passati tre anni, ha girato il mondo suonando e mi riconosce? Magari si sbaglia, si confonde>>.
Invece no: prima di iniziare l’intervista, dice che si ricorda di come fossi stato immobile, inginocchiato di fronte al palco ad ascoltare la sua esibizione e aggiunge che solo chi ama la musica può estraniarsi così dalla realtà.
Parole sante!
Poi, inizia l’intervista, scatto alcune immagini e arriva l’ora del concerto.
Siedo in prima fila ad un paio di metri dal palco. Cosa posso desiderare di più?
Arrivano i musicisti: conosco già il bravissimo flautista Jacques Pelzer, mentre il pianista Phil Markowitz e il bassista John Burr li ho solo sentiti su disco. Niente batteria, forse per abbracciare maggiormente l’atmosfera del Conservatorio.
Arriva Chet Baker e prende posto su una seggiola proprio di fronte a me.
Appena le luci creano l’atmosfera, mi accorgo del “tranello”.
Il gruppo è illuminato in controluce! L’effetto è notevole, ma per le foto potrebbe essere un dramma. Ed ecco l’idea, esaltare il controluce e completare l’opera stampando le immagini su carta ad alto contrasto (il digitale arriverà dopo 30 anni circa): è l’uovo di colombo da cui nasce l’immagine che potete vedere.
Ecco, in quello scatto c’è tutto il Chet Baker di quella indimenticabile serata.
Pacato, riflessivo, lo sguardo sulla punta degli stivali, con note quasi centellinate che escono dallo strumento; sono precise, rispettose e si fondono con i notevoli intrecci di flauto traverso e pianoforte, sorrette da un eccellente basso.
Poi c’è la sua voce: uno strumento aggiunto che contribuisce a rendere uniche le atmosfere rarefatte.
Brano dopo brano, si viene catturati da una musica essenziale, priva di orpelli.
La musica di Chet Baker, insomma, quella nata dal blues di Charlie Parker, che vuole apertamente essere per tutti e non per pochi addetti ai lavori.
Quando il concerto termina, saluto nuovamente Chet Baker e tutti i componenti del gruppo, ripromettendomi di tornare al prossimo appuntamento.
Ne sono convinto.
Invece…
Invece le cose cambiano rapidamente e mi trovo obbligato a passare dalla realtà frenetica e divertente del quotidiano -diviso tra cronaca e spettacoli- al dorato mondo dei motori che in quel periodo rombano forti e sicuri, ben lontani dall’immaginare la crisi che da lì a pochi anni li colpirà.
Viaggio molto e il tempo per la musica dal vivo semplicemente non c’è più o quasi.
Finchè, anno dopo anno, nel 1988 leggo che Chet Baker non è più con noi.
Una fine misteriosa, si dice, in un albergo di Amsterdam. Sono colpito, addolorato anche perché in quei pochi minuti che ho descritto penso di aver capito chi era veramente.
alberto
Affascinante
RispondiEliminaGrande Albert
RispondiEliminaC
Chet Baker era un grandissimo artista,...alcune sue canzoni fanno quasi commuovere, fantastiche,..jazz at his best (nel senso più profondo di 'sofferenza' blues e non di 'virtuosismo' fine a sè stesso),..non sono un grande esperto di jazz ma lui , John Coltrane e Dizzy Gillespie sono grandiosi,...tra l'altro ricordo un film italiano primi anni '60 dove c'era Baker che suonava appoggiato contro un albero,..non ricordo il titolo ora, ma grande Chet Baker
RispondiEliminainvidia alla massima potenza
RispondiEliminagrazie del racconto
RTR
complimenti Alberto Calliano
RispondiEliminaBELLA!!
RispondiEliminala storia è bella, ma "incontro"?
RispondiEliminami aspettavo un minimo di interazione con Chet Baker.
così più che altro è il racconto (bello eh) di due concerti cui l'autore ha assistito.
embè ? doveva limonarlo ?
Eliminaleggi bene somaro
EliminaNo, però non gli ha mai parlato
RispondiEliminaprima di iniziare l’intervista, dice che si ricorda di come fossi stato immobile, inginocchiato di fronte al palco ad ascoltare la sua esibizione e aggiunge che solo chi ama la musica può estraniarsi così dalla realtà.
RispondiEliminaquesto e' voce del verbo PARLARE.
e poi c'e' stata l'ìintervista..idem
C
Quando il concerto termina, saluto nuovamente Chet Baker e tutti i componenti del gruppo, ripromettendomi di tornare al prossimo appuntamento.
RispondiEliminaquando lo spettacolo termina, non ci penso due volte: chiamo Chet Baker, gli dico bravo e gli stringo la mano. Lui ringrazia con garbo, quasi timidamente e mi risponde “alla prossima” in italiano
RispondiEliminaVa beh abch'io sostai in stato di semi-estasi in attesa negli spogliatoi della Juve in attesa di Platini che mi disse scompigliandomi i capelli 'un attimo solo ragazzo (con la erre moscia) che adesso arrivo', tornò dopo essersi messo la cravatta e mi autografò il foglietto lo ringraziai mi disse 'a presto', non lo vidi più, per fortuna sua è ancora vivo.
EliminaNon posso dire di avere avuto un incontro con lui.
perche'?
EliminaDai C perché non fu un incontro.
EliminaIl racconto di Calliano è bellissimo, ma sono più che altro suggestioni.
si anche quelle..
Eliminaesempio: io ho visto Paolino live piu volte e non l'ho mai incontrato. Sempre ad es, Boss l'ha visto live piu volte e l'ha incontarto backstage.
C
Mettiamola così, visto il titolo e l'introduzione e il fatto che il protagonista del racconto è un giornalista pensavo che lo avesse intervistato, anzi, visto il preambolo pensavo che fosse saltato fuori un incontro informale.
EliminaLe foto sono davvero molto belle, il racconto pure.
Non avevo nessun intento polemico
Mettiamola così, visto il titolo e l'introduzione e il fatto che il protagonista del racconto è un giornalista pensavo che lo avesse intervistato, anzi, visto il preambolo pensavo che fosse saltato fuori un incontro informale.
EliminaLe foto sono davvero molto belle, il racconto pure.
Non avevo nessun intento polemico
è la stessa cosa che ho pensato io leggendo, ma c'è sempre chi la polemica vuole farla a prescindere... :-)
Eliminaboh, credo di saper leggere.
RispondiEliminaper me "incontro" ha un altro significato, ma si vede che sono fatto male io.
si Alle probably
Eliminadimenticavo, scusa, aggiorno la firma:
EliminaThe ReAlle WC, come ti sembra?
dimenticavo, aggiorno la firma:
EliminaThe ReAlle WC, come ti sembra?
oops, doppio post, scusate
EliminaReALLE Wc e' perfetto
EliminaBè "incontro" non è necessariamente una lunga chiacchierata.
RispondiEliminaQui si parla di due concerti, qualche parola che sottintendeva qualcosa di molto profondo, e un'intervista a cui l'autore del pezzo ha assistito. Insomma di incontro si tratta, secondo me.
io sono dell'idea del Sir, "incontro" è una cosa diversa. senza nulla togliere al bel racconto di alberto.
EliminaMannaggia, l'ho letto solo adesso, bellissimo il testo come le foto... Certo che Chet Baker intervistato da Sergio... Trombetta! Scherzo, ovviamente!
RispondiEliminaPer me si può definire 'incontro'.
W
ahahah! grande Wite!
RispondiEliminaINCONTRO!
C