da Corriere.it del 22 agosto 2005
Putin sarà pure amico di Berlusconi ma anche un vecchio navigatore internazionale come Giulio Andreotti, che certo non è un oppositore trinariciuto, non capisce: «Perché lo smantellamento dei sottomarini nucleari russi dovremmo pagarlo noi e non i miliardari moscoviti che si comprano le squadre di calcio?».
Totale della somma da scucire: 360 milioni di euro.
Cinque volte i soldi dati ai Paesi colpiti dallo tsunami che fece 288 mila morti.
Dettaglio curioso: il governo fa bella figura con Mosca tirando fuori 8 milioni di euro, parte dei quali già usati per un party astronomico, gli altri 352 sono sul gobbo dei governi futuri. Li trovino loro, i denari.
Sia chiaro: la rimozione delle armi di distruzione di massa degli anni della guerra fredda va fatta nell’interesse di tutti. Ed è giusto che tutti se ne facciano carico.
Italia compresa, nonostante siano anni di vacche così magre che Palazzo Chigi ha deciso tagli traumatici perfino alla cooperazione o alle organizzazioni no-profit contro la fame o le malattie nei Paesi più poveri. Ma proprio per questo ogni euro deve essere speso nella massima trasparenza. Cosa che in questa faccenda non accade affatto.
Per capirci qualcosa, bisogna tornare indietro di un paio di anni. Siamo ai primi di novembre 2003.
A Roma è in corso il vertice Ue-Russia.
Quello in cui il Cavaliere, interrompendo Putin nella conferenza stampa («Scusa Vladimir, adesso parlo io») prende le difese della repressione russa in Cecenia, sotto accusa in Europa, parlando di «leggende ».
Una sortita che gli procurerà la prima censura votata dal Parlamento europeo a un presidente di turno: «Si deplorano le dichiarazioni...».
In questo contesto, il premier firma un accordo che perfeziona un impegno preso nel G8, in base al quale l’Italia smantellerà, appunto, un certo numero di sommergibili nucleari russi.
Chi se ne occuperà? La Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), un’azienda che, nata da una costola dell’Enel, incorpora dal ’99 le competenze sulle centrali nucleari italiane.
Un gesto di generosità utile nei rapporti internazionali e pure conveniente. Lo sterminato territorio russo, ha infatti spiegato mesi prima il generale Carlo Jean (l’ex consigliere militare di Cossiga messo alla presidenza della Sogin con la benedizione di Antonio Martino, suo collega alla Luiss) potrebbe raccogliere «in cambio» le scorie nucleari italiane che non sappiamo dove mettere. Macché: manco il tempo di firmare e la contropartita cade: «La possibilità di esportare i materiali radioattivi in Russia non è più praticabile», spiega il generale, perché Mosca «si è allineata alla normativa internazionale e rifiuta qualunque ipotesi di stoccaggio permanente». Non bastasse, il progetto, che ha bisogno del via libera parlamentare, va a sbattere in una serie di difficoltà.
Anche dentro la destra, dove ad esempio Bruno Tabacci (Udc) o Stefano Saglia e Tommaso Foti (An) scalciano perché l’accordo va solo a beneficio dei russi. Per non dire della sinistra che, sia pure con qualche ambiguità lobbistica, è contraria.
Coi verdi, contrarissimi, in prima fila. Non bastasse ancora, emergono difficoltà pratiche: non ci sono i soldi.
E tutti i tentativi di rastrellarli (compreso quello del ministro Antonio Marzano di infilare nel 2004 nel decreto sulla competitività, alla chetichella, un comma per istituire un commissario ad acta) vanno a vuoto. Colpa del nuovo ministro Siniscalco, che avendo la competenza in materia visto che la Sogin appartiene al 100% al Tesoro ed è finanziata con lo 0,7% delle bollette elettriche, avoca a sé la pratica: «Fatemi capire». Rimasto al palo, Jean non si perde d’animo.
E dopo avere evidentemente avuto un via libera dall’alto, decide di giocare d’anticipo e, nonostante l’accordo non sia stato ancora ratificato, apre un ufficio a Mosca. E qui cominciano i guai. Sede di alto rango. Affitto da capogiro.
Dipendenti in quantità (una ventina, pare, tra i quali la sorella del direttore del personale Maurilio Fraboni) non solo lautamente pagati ma lautamente premiati da una ulteriore diaria di 300 euro al giorno, voce che da sola genera un costo di oltre 2 milioni l’anno. Insomma: un debutto alla grande. Come alla grande, stando alle contestazioni fatte in consiglio di amministrazione da Carlo Togni, capo di gabinetto di Altero Matteoli e vice-presidente della Sogin, è la festa (alla quale lui non va, come il rappresentante del Tesoro Fernando Carpentieri) data per brindare al progetto alla presenza di un sacco di gente come il sottosegretario azzurro Giovanni Dell’Elce e il responsabile dell’energia leghista Massimo Polledri. Uno strabiliante galà che, rivaleggiando con quello voluto a suo tempo dallo Scià per i 2.500 anni dell’impero persiano con l’ingaggio di centinaia di camerieri del parigino Chez Maxim, del Palace di Saint Moritz e dell’Hotel de Paris di Montecarlo, sarebbe costato 400 mila euro. Fatto sta che a marzo di quest’anno l’Autorità per l’Energia e la Corte dei Conti iniziano a chiedere chiarimenti su come la Sogin spenda i soldi.Ametà aprile, l’Autority contesta con una delibera alla Sogin 4,8 milioni di euro di spese, pare tutte relative alla sede di Mosca, perché per coprirle sarebbero stati utilizzati i soldi delle bollette Enel.
La società fa ricorso al Tar contestando all’Autorità il potere di censura mentre Jean sostiene che le attività di Mosca sarebbero state finanziate col fondo di 400 milioni di euro che la Sogin aveva in cassa già nel 1999, avendo ceduto i propri impianti all’Enel. Ma il Tesoro blocca il bilancio. E nel Cda Togni e Carpentieri piantano una grana tale che l’assemblea viene rimandata all’inizio di settembre. Anche perché il Cda è in scadenza: chi gestirà i soldi in arrivo?
Perché, stavolta, i soldi arrivano davvero. E non solo per il caviale. Con una improvvisa accelerazione, infatti, la Camera ratifica l’accordo e lo passa al Senato dove, il 28 luglio, ha addirittura la precedenza (nonostante la battaglia frontale del verde Stefano Boco, i dubbi della Margherita e le perplessità dell’Udc che si astiene) sul decreto anti-terrorismo dopo le bombe di Londra. Altri sei giorni (sei!) e il ministro Claudio Scajola firma la convenzione che affida alla stessa Sogin, senza gara, la gestione di tutta l’operazione.
Ma non è tutto.
L’accordo, oltre a stabilire che 8 milioni saranno tirati fuori adesso e 352 negli anni successivi, «riconosce alla Sogin annualmente un importo aggiuntivo pari al 25% del totale dei costi. Tale importo comprende un’aliquota del 20% destinata alla copertura dei costi per le attività di promozione, di controllo e ispezione svolte dallo stesso ministero».
Cosa vuol dire? Boh... Perché il Tesoro deve pagare quella quota in più a una società che è sua? Boh... E il restante 5%? Boh...
Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella
22 agosto 2005
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