venerdì, giugno 13, 2025

La Banda Bassotti e Fermin Muguruza a Roma. Un altro giorno d’amore.

A cura dell'amico Antonio Romano, già presente con una rubrica nel blog qui: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Antonio%20Romano

Torno a scrivere sulle colonne virtuali di questo blog dopo qualche anno.
Lo faccio perché certe serate ed emozioni vanno fermate, raccontate e condivise.
Sabato 7 giugno, a Roma, ho visto qualcosa che andava oltre il concerto: una festa vera, di amore e di lotta, fatta da gente vera.
Il ritrovo di una grande famiglia resistente.
Banda Bassotti e Fermin Muguruza sullo stesso palco.

Appartengo alla seconda generazione dei “figli” della Banda, quella nata a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, mentre uscivano “Figli della stessa rabbia” e “Balla e difendi”.
Personalmente li ho conosciuti col live “Un altro giorno d’amore” del 2001.
Avevo 13 anni.
Quel disco è stato un’esplosione, che non solo mi ha fatto scoprire anche Fermin Muguruza e i Negu Gorriak, ma che è stato l’accesso a una visione del mondo e della vita che non si studiava a scuola.
Una visione ed una strada che da solo, nella provincia di Lecce in cui sono cresciuto, difficilmente avrei maturato.

Il live inizia puntualissimo, alle 20, mentre il sole cala tra i palazzi popolari e le bandiere sventolano fiere attorno al palco.
La Banda Bassotti entra sulle note della “Marcia dei Soviet” suonata insieme ad una giovanissima sezione fiati ospite.
Mi sono commosso.
Non per nostalgia, ma per l’orgoglio che si respirava, per tutto ciò che quel momento rappresentava.
Avevo mio figlio di 4 anni sulle spalle e la mia compagna, incinta alla 39ª settimana, accanto a me.
E ho pensato al me stesso di 19 anni, quando prendevo il treno da Lecce di nascosto dai miei, per una birra al Sally Brown o per un festival oi! in qualche CSOA.
Dove, tra il pubblico o tra gli organizzatori, c’era sempre qualcuno della Banda e della loro crew ed io li guardavo con un quasi timore reverenziale, come si guardano gli eroi.
Angels with dirty faces, citando gli Sham 69.

E quella famiglia che vedevo allora, oggi è ancora lì.
Attorno a noi c’erano ragazzini e sessantenni, skin coi capelli bianchi, vecchi punk, coppie coi figli ormai cresciuti, e figli piccolissimi tenuti stretti al collo. Gente da tutta Italia, anche dall’estero.
La festa di una tribù.

Il set della Banda è stato tirato, diretto, potente.
Tutti i loro inni, uno dietro l’altro.
Qualche battuta di Picchio, con la sua ironia rude di borgata, l’energia di Sandokan, l’autorevolezza silenziosa di Scopa e poi tutti gli altri componenti, compresi gli ospiti, tra cui Kino degli Arpioni.
E c’era Sigaro.
Sempre lì, a ogni pezzo ti sembra che da un momento all’altro possa attaccare le sue parti e tornare a cantare le sue poesie.
Non c’è, ma c’è. Lo sappiamo tutti. Avanti uniti.

Dopo “L’Internazionale”, chiusura solenne del set e altra lacrima col pugno alzato, breve pausa e cambio palco.

Tocca all’ospite d’onore: Fermin Muguruza.
Con una nuova band, potentissima.
Fermin festeggia 40 anni di carriera, e ha scelto di celebrarli anche qui, nella sua seconda casa.
Due ore in cui ha portato tutto il suo mondo: Kortatu, Negu Gorriak, Clash, Specials, punk, reggae, dub, folk.
Una band rocciosa, calda, piena di groove. Davvero alto livello. Ritmo, lotta, sudore, orgoglio. Cuore working class che batte forte e che, ancora oggi, sa far innamorare.

Se questa musica, queste band, queste persone e le loro storie ci hanno insegnato qualcosa, è che non si deve smettere mai: di amare, di soffrire, di lottare, di cantare.

L’ho vissuto come un giorno importante, vero.
Senza nostalgia, senza passerelle, senza star. Un’occasione per ribadire il rispetto che dobbiamo alla Banda Bassotti, alla Gridalo Forte, a tutta la loro “vecchia crew”.
Perché hanno saputo unire rabbia e poesia, coscienza di classe e allegria, costruendo, e –senza esagerare- anche educando, una comunità che, nonostante tutto, resiste.
Con le Doc Martens rotte quando fischia il vento, ma sempre con la stessa fierezza.
Kids like me and you!

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