L'amico Ramblin Erikk ci regala questa avvincnente recensione del concerto dei COCKSPARRER (e una serie di altre band, Ruts DC in primis) tenutosi da poco a Londra (sue anche le foto.)
La cupa linea di basso Dub di Segs continua a iniettare vibrazioni attraverso la nostra psiche collettiva, ancora diversi secondi dopo che, al termine di una tesa e nervosa versione dell' epocale "Babylon's Burning", lui, Dave Ruffy e Neil Heggarty, i Ruts DC, salutano il pubblico ansimante della 02 di Islington.
Ci troviamo nel cuore di Londra per festeggiare i 15 anni di "Vive Le Rock", il mensile piú autorevole in campo RnR e Punk in Inghilterra che, a occhio e croce, parecchi degli astanti seguono da quel primo, sperimentale numero con la buon'anima di Johnny Ramone in copertina.
Per tre lustri (e pur tra gli alti e bassi di una scrittura non sempre all' altezza della bontá ideale del progetto) la pubblicazione guidata da Eugene Butcher ha documentato le vicende del Rock piú sotterraneo e indipendente, con particolare attenzione al passato (specialmente 1977 e dintorni) pur mantenendosi sempre attentissima alle piú interessanti realtá contemporanee, locali e non, influenzando e fagocitando i gusti di un' intera generazione di lettori e ascoltatori, come ogni buona rivista musicale dovrebbe fare.
La nutrita line-up assemblata per l' occasione riflette da vicino questo spettro generazionale, a partire dagli emergenti Split Dogs e Knock-Off per proseguire con Desperate Measures, la band che vede alla voce lo stesso Butcher, Maid Of Ace e quegli enigmatici "Human Punks" annunciati sul cartellone e, infine, rivelatisi gli stessi Ruts che proprio con quello sferragliante classico chiudevano il loro seminale debutto "The Crack" nel 1979.
Indizio fin troppo palese e molti di noi avevano sgamato al volo, per quanto fosse lecito anche ipotizzare un' estemporanea formazione di "Vive Le Rockers" storici assemblati per l' occasione.
L' onore di chiudere e fare da testimoni alla serata spetta agli inossidabili padrini dello Street-Punk/Oi Cock Sparrer.
Beniamini locali, Londinesi dell' East End e attivi giá dal 1972, gli Sparrer godono di un' accoglienza calorosa da eroi, un ruolo che si sono guadagnati portando alta la bandiera di un Punk Rock grezzo, abrasivo ma sempre melodico e orecchiabile, figlio in egual misura del Glam dei primi '70, dei cori da stadio da cantare all' unisono e, soprattutto, di un' attitudine orgogliosamente Working-Class ritratta in maniera fedele dai loro pezzi, che raccontano storie di vita Inglese di tutti i giorni, tra lavoro, scazzi, pinte al pub nel weekend, tafferugli in curva e tutto il corollario di gioie e dolori che un andirivieni del genere comporta.
Amici dai tempi della scuola e arrivati alla grande esplosione Punk Britannica del '77 con giá cinque anni di solida carriera alle spalle, hanno, per modo di dire, approfittato di un' energia a loro vicina e a cui sentivano avrebbero potuto contribuire, in maniera non dissimile da quanto accadde a Stranglers, Ruts e gli stessi Clash.
Salgono sul palco sulle note di "Cum On Feel The Noize" degli Slade: Colin McFaull, Micky Beaufoy, Steve Burgess e Steve Bruce membri fondatori, lí dall' "Ora Zero", assieme al "Newboy" Daryl Smith, che si é unito al gruppo nell' ormai giá lontano 1992 rivelandosi da subito un innesto importantissimo.
A vederli, non fanno certo pensare allo stereotipo di Rockstar "elegantly wasted" e eternamente giovane e glamourous : i cinque mostrano tutti i loro anni, non fanno nulla per nascondere rughe o segni del dell' usura e assomigliano in tutto e per tutto al pubblico che si raduna ai loro concerti.
Attaccano, come consuetidine, con le sirene di "Riot Squad" seguita, in rapida successione, da "Watch Your Back" e "Workin" (tutte da "Shock Troops") un rituale che si ripete da quasi 40 anni, splendidamente immutabile come in uno show dei Ramones.
Arriva poi un trittico killer a rappresentare l' eccellente "Hand On Heart" dell' anno scorso : "With My Hand On My Heart", "Mind On Your Business" e "Here We Stand".
Anthemiche, accorate e, a loro modo giá classiche, canzoni la cui apparente semplicitá tradisce in realtá una sottigliezza e un gusto compositivo non comuni, soprattutto in una band di area Street-Punk.
Il lavoro alla chitarra dell' asse Beaufoy/Smith é serrato ma ricco di ganci melodici, la sessione ritmica solida e metronomica mentre la voce tenorile del maestro di cerimonie Colin McFaull non perde un colpo, interpretando ogni strofa e storia con la consapevolezza di chi ha vissuto in prima persona e la maestria di un performer consumato, in grado di tenere platee di migliaia di persone nel palmo di una mano.
É un' esperienza, verrebbe da dire, religiosa nella sua carnale e, a tratti, brutale concretezza terrena : un rito colettivo che unisce etá, razze e denominazioni diverse, unite dal medesimo set di valori, stile di vita e amore per la musica.
Siamo galvanizzati dall' arrembante "One By One" e ritroviano noi stessi e molte delle persone che conosciamo nelle disavventure della protagonista di "Suicide
Girls".
Questa é musica per la gente, fatta dalla gente: inni proletari che fotografano una realtá fatta di sbattimenti, piccole gioie, qualche colpo di culo ma sempre tanto orgoglio.
Per fortuna, in un' atmosfera non piú funestata dalle violenze gratuite ad opera di facinorosi destrorsi che spesso, tra i tardi anni '70 e primi '80, inquinavano concerti di questo tipo.
In pieno Thatcherismo, quando la destra in Inghilterra tentava una facile opera di proselitismo, facendo leva su malcontento e disoccupazione generali per tenere la classe operaia in silenzio e dalla parte loro. Quando gli skins del National Front si presentavano in prima fila ai concerti degli Sham 69, in cerca di grane : tempi cupi.
In barba agli anni che, visibilmente, avanzano, gli Sparrer suonano ancora perfettamente credibili quando intonano "What It's Like To Be Old" e "Because You're Young", sempre vibranti inni alla sfrontatezza giovanile e resta intatta anche la dolceamara disillusione nei confronti dello show-biz espressa in maniera così efficace in quadretti "kitchen-sink" come "Take 'Em All" e "Where Are They Now".
Hey, questi sono Cockneys dell' East End : sapevano dal principio che sarebbe stata tutta una grossa fregatura.
Leggenda vuole (e io ci voglio credere) che, quando nel 1977 Malcolm McLaren avvicinó la band con l' idea di metterla sotto la propria ala, i nostri gli diedero in breve il ben servito perché "non pagava mai il suo giro al Pub".
Pura "Stiff Upper Lip" Britannica.
"England Belongs To Me" risuona del coro unanime di 800 Punk, Skin, Mod e quant'
altro presenti in sala: non un inno "Nazionalista" come gli osservatori piú miopi e faziosi l'hanno spesso erroneamente bollata, quanto piuttosto una sincera celebrazione di patriottismo proletario dedicato a chiunque, nativo o meno, faccia parte del paese che ha inventato la "Magna Carta", ben prima della Brexit e altre brutture per cui chissá per quanti anni ancora dovremo pagare il conto.
É chiaro, ad un ascoltatore attento, che l' Inghilterra di Colin McFaull e soci NON é certo quella della Brexit.
Con la promessa di "We're Coming Back" ("E non camminerete mai piú da soli") gli Sparrer si congedano, salutano e io mi rituffo nel network sterminato della Tube nella notte Londinese.
"A quanti concerti dei Cock Sparrer hai bisogno ancora di assistere?" mi hanno chiesto alcuni.
Semplice : il piú possibile!
Sensazioni di aggregazione e appartenenza come questa sono francamente impagabili.
E, come loro saranno sempre lí per noi ("Here We Stand") cosí noi accorreremo puntualmente ad ascoltarli ancora. Forever.
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