sabato, maggio 31, 2025
Secret Affair a Torino 1 giugno
Per festeggiare i 45 anni di Piazza Statuto arrivano a Torino i Secret Affair, supportati dagli Statuto e dai Mads oltre a una serie di altre iniziative.
venerdì, maggio 30, 2025
Maggio 2025. Il meglio
Siamo ormai a metà del 2025: tra i migliori album quelli di Bob Mould, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross perkins..
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, Casino Royale, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.
FRANK POPP ENSEMBLE - Waves
Frank Popp non delude mai. Soul, Northern soul, psichedelia, lounge, perfino kraut rock e ospiti particolarissimi come Nicke Andersson già con Entombed e Hellacopters alle prese con un tiratissimo soul in "Caught in Your Web" o Gerry Love dei Teenage Fanclub. E ancora l'attrice e modella Emma Noble e il cantante australiano J Mahon. Come sempre divertente, godibile, colorato, fresco, pieno di sorprese.
M ROSS PERKINS - What's the Matter, M Ross?
Al quarto album il cantautore dell'Ohio ci porta in un mondo profondamente Beatlesiano, a tratti in modalità calligrafica, ma che si concede anche a power pop, beat, boogaloo, tocchi di pop psichedelico. L'approccio è però molto personale, costantemente "folle" e alla fine originale. Una piacevolissima sorpresa.
FREEDOM AFFAIR - Freedom Affair
Spettacolare secondo album per la band americana, registrato in analogico e fedelissimo al sacro groove del più classico Southern Soul anni Sessanta/Settanta. Le stupende voci di Paula Saunders, Seyko Groves e Shon Ruffin vanno a nozze su una base caldissima che ci riporta ai fasti di un tempo. Non rivoluzionerà il mondo della musica ma rimarrà uno dei migliori album "black" del 2025.
SUZANNE VEGA - Flying With Angels
Assente da lungo tempo dalla discografia Suzanne Vega torna con un album davvero bello, vario, pieno di suggestioni sonore e testi combattivi che guardano con lucidità alla triste e complicata attualità (la struggente "Last Train to Mariupol").
Al classico folk rock affianca elementi soul (stupenda "Love Thief"), un inaspettato (quasi) garage punk rock in "Rats", un esplicito omaggio a Dylan ("Chambermaid" rilegge "I Want You").
Consueta classe, innata eleganza, voce inconfondibile, espressività al top.
EMMA JANE THACKRAY - Weirdo
La polistrumentista inglese al secondo album va oltre l'ora di musica, lungo 19 brani in cui esplora i più svariati sentieri, dall'acid jazz, al soul, al funk, allo swing, hip hop, drum and bass, fusion, jazz rock. Un lavoro monumentale, sempre di altissimo spessore, suonato alla perfezione e particolarmente ispirato.
PETE DOHERTY - Felt Better Alive
A 11 anni dal precedente album, il "sopravissuto a stento" ritorna in veste solista e festeggia di essere ancora vivo, dopo le note drammatiche vicissitudini. Lo scorso anno aveva scritto un mezzo capolavoro con i Libertines, oggi esce con un buon disco, malinconico, dalle frequenti tinte country, con qualche episodio più swingante, "Poca Mahoney" con Lisa O'Neill dal gusto punkeggiante. Merita un ascolto e la consueta vecchia domanda quanto i bad habits che lo hanno accompagnato per tanto tempo hanno aiutato o dissipato la sua creatività.
LOUIS PHILIPPE & THE NIGHT MAIL - The Road To The Sea
Piccolo genio della canzone meno scontata Louis Philippe ha sempre navigato in acque nascoste al grande pubblico, dall'esordio circa 40 anni fa con la "sua" El Records. In mezzo una nutrita discografia, sempre caratterizzata da un timbro ben riconoscibile che ritroviamo intatto anche in questo nuovo lavoro, prodotto da Andy Lewis. Difficile (e altrettanto facile) trovare riferimenti ma la sua musica unisce tasselli di Burt Bacharach, canzone francese, Style Council (in particolare quelli di "Café Bleu" e i classicismi di "Confessions Of A Pop Group"), Beach Boys, il primo Paul MccCrtney solista (con o senza Wings), Prefab Sprout, XTC. Delizioso.
SOUTHERN AVENUE - Family
Arrivano da Memphis, Tennessee e nel quarto album "Family" sfoderano una miscela entusiasmante di gospel, southern soul, country, blues.
Voci stupende, retaggi Staple Singers (non a caso hanno inciso per la Stax Records) e un approccio moderno e freschissimo.
TANIKA CHARLES - Reason To Stay
La soul woman canadese firma il quarto album in cui, ancora una volta, si muove, con grazia ed eleganza, nel soul più classico, con una predilezione per i tempi medi, le ballate intense e avvolgenti, melodie accattivanti, temperature calde, colori interpretativi intensi in pieno stile vintage anni Sessanta ma in una chiave moderna. Un lavoro godibile, divertente, solare, perfetto per ogni amante della soul music più pura.
THE AFRO-AMERICAN ENSEMBLE - Free The Black Man's Chains
Preziosa (prima) ristampa di un oscuro album del 1971 tra soul, funk e gospel, pubblicato dopo l'uscita di tre singoli dei Broad Street Gang. Tra i musicisti coinvolti Mitchell Rowe, Bobby Eli, Len Pakula, Daryl Hall, Ron Baker, Norman Harris, The Raelettes e gli archi arrangiati da Richie Rome. Una specie di concept propedeutico per un film o un musical (a cui l'impostazione compositiva si accosta spesso) ma che finì presto nel dimenticatoio. Un lavoro eccellente, da riscoprire e apprezzare.
SAULT - Acts Of Faith
Dopo aver bulimicamente riempito la sua discografia di album in pochi anni (l'ultima volta due anni fa con ben 5 lavori in contempranea) il collettivo inglese torna a farsi sentire, guidato dall'eccellente voce di Cleo Sol, con una suite divisa in 9 distinti brani a base di un soul funk molto melodico e soffice, moderno e avvolgente, di estrema gradevolezza, tra umori 70, Curtis Mayfield, gospel, jazz.
JAMES TAYLOR QUARTET - Only Messin'
Ormai la discografia di James Taylor (con o senza il Quartet o altre denominazioni) è inestricabile e le pubblicazioni non si contano più. Questo nuovo ep esce solo in vinile si avvale del contributo chitarristico del compare nei Prisoners, Graham Day, e di una sezione fiati che conferisce al ruvido funk soul dei quattro brani un groove pazzesco.
AA.VV. - The Countdown Records Story 1985-88
Poco prima di fondare la fortunata Acid Jazz Records, Eddie Piller ci provò con la Countdwon records per la quale incisero eccellenze come Makin' Time e Prisoners e nel 1985 pubblicò la seminale compilation "Countdown Compilation" con il meglio della nuova scena mod, successiva a quella del 1979, Prisoners, Makin Time, Times, The Moment, Gents, Scene, Fast Eddie tra i tanti.
A 40 anni dalla prima uscita esce questa nuova raccolta in vinile (per l'Acid Jazz) con alcune di quelle band e altre aggiunte, in una sorta di "meglio" dell'etichetta.
La tracklist è invitante e l'ascolto ci conforta per la freschezza che mantiene quel sound e ci fa rammaricare di come molti di questi nomi, pur con così tanto talento, non abbiano fatto strada.
CASINO ROYALE - Fumo
Senza dubbio una delle band più rappresentative e innovative che hanno attraversato lo scibile musicale italiano dal punk in poi. In grado di evolversi in continuazione, dallo ska iniziale a forme sonore sempre più contaminate, tra rock, funk, hip hop, soul, elettronica, dub, drum and bass e tanto altro, fedeli allo spirito della prima pietra miliare della fusione di stili, "Sandinista" dei Clash, a cui hanno fatto spesso esplicito riferimento. Il nuovo album è impostato come una suite unica che lega i vari brani, colonna sonora in cui convergono tutte le varie variabili dell'amata black music, declinata in chiave moderna ma con agganci voluti ed evidenti alle radici. A fianco degli storici membri Alioscia e Patrick Benifei, le voci della giovane rapper Alda e di Marta Del Grandi. Album stupendo e di altissimo livello.
CESARE BASILE - Nivura Spoken
Una delle particolarità più apprezzabili in un artista è la capacità di reinventarsi, rimettersi costantemente in discussione, aprirsi a nuovi orizzonti, senza cullarsi nell’auto omologazione. Cesare Basile non ha mai mai avuto di questi problemi, in una (lunga) carriera, costellata da continui e progressivi cambiamenti artistici, talvolta sorprendenti ma, con il senno di poi, appartenenti a un unicum creativo, saldamente legato da un robusto filo conduttore. Da tempo sperimenta con elettronica e una strumentazione spesso inventata e autocostruita. In questo progetto, rimasto per anni nel cassetto e finalmente pubblicato (in CD e cassetta), entra in un abrasivo e ostile ambito sonoro quasi industrial, talvolta dissonante, affiancandosi alle voci (dialettali e in lingua) di Nada, Rita Lilith Oberti, Sara Ardizzoni, Vera Di Lecce, Valentina Lupica e Sarah Elkahlout. Riservato e destinato a chi sa guardare avanti (e dentro).
EUGENIO FINARDI – Tutto
Uno dei cantautori italiani più rappresentativi in assoluto di sempre, chiude la carriera discografica con l’ultimo anno di inediti, a celebrare i 50 anni di attività. Lo fa con la consueta eleganza mista a rabbia, disillusione, speranza. Testi sempre incisivi, lucidi, spiazzanti che sanno guardare con uguale profondità passato, presente e futuro. Musicalmente si pone sempre in perfetto equilibrio tra canzone d’autore, rock, suoni ricercati, umori mediterranei. Se sarà veramente un addio, lo avrà fatto nel migliore dei modi.
THE PROPER – Meant To Say Something
La band guidata da Ivano Bonfanti firma il secondo album della carriera, iniziata nel 2015 in quel di Londra. Gli undici episodi sono solidi brani che mischiano power pop, mod rock alla Jam, melodie anni Sessanta e un sound chitarristico aspro e nervoso. La produzione (di Brett Buddy Ascott, ex Chords) è attenta ed efficace, le canzoni sono stilisticamente eclettiche, sempre ben composte e curate, l’attitudine quella giusta. Album maturo, di respiro internazionale e alto livello qualitativo.
LIQUID GERMS - Return to Earth
Inaspettato ritorno della band piacentina, nata nel 1997 ma dalla carriera altalenante, con vari cambi di formazione e una discografia limitata a un album e a uno split. Il previsto nuovo lavoro nel 2001 rimase confinato a un demo Cd che viene ora riproposto, completamente risuonato e con l'aggiunta di altre canzoni realizzate all'epoca. Il sound rimane quello degli esordi, un surf strumentale potente e amfetaminico, fortemente influenzato dalla lezione di Man Or Astroman e Devo, sposati al suggestivo immaginario dei film di fantascienza anni 60/70 da Star Trek alla serie UFO (con tanto di spezzoni audio ricavati dai film originali). Divertente, originale, suonato benissimo.
ARPIONI - Buona Mista Social Ska
La band "internazionale" pubblica il secondo volume (a 25 anni dal precedente), dedicato alla rivisitazione "in levare" di brani della canzone d'autore italiana. L'aspetto rilevante è innanzitutto la scelta del materiale, mai banale, che rovista nei meandri più oscuri, da I Ribelli a un brano "minore" di Lucio Dalla ma non disdegna classici come "Azzurro" o "Lugano addio". Ma c'è anche la capacità di riprendere il tutto attraverso le varie declinazioni dello ska, da quello più tradizionale, al rocksteady, alle origini con il Mento (folk giamaicano), fino a umori più classicamente original reggae. Irresistibile la "Tanto pe' cantà" con la voce di Valerio Mastrandrea, uno degli ospiti con Tonino Carotone, AWA FALL aka Sista Awa e Diego Bianchi. Un album divertente, solare, riuscitissimo.
A/LPACA - Laughter
Torna il dissonante quartetto mantovano con un nuovo album che parla, come ci hanno abituati, un linguaggio originale perché attinge da riferimenti insolitamente miscelati, che finiscono per produrre un insieme che non è semplice definire. Un pregio sempre meno comune. Nel nostro caso la matrice più genericamente ovvia è quella dei Sonic Youth, che sapevano abbinare un'attitudine punk alla voglia di sperimentare e rendere abrasivo tutto ciò che toccavano. Non dimenticano però certi sguardi alla psichedelia meno ovvia (e a quella Barrettiana), alla no wave, all'incedere ritmico ipnoticamente kraut. Ancora una volta hanno fatto centro.
NANA BANG! - How To Come Invisible
Nuovo album (prodotto e supervisionato da Giovanni Ferrario) per Andrea Fusari e Beppe Mondini ovvero i Nana Bang! side-project di GuruBanana. Undici brani in cui proseguono nel loro classico solco sonoro, figlio di Velvet Underground, Modern Lovers, Violent Femmes, tra folk punk, folate psichedeliche di sapore Paisley Underground, minimalismo rock (Pavement in particolare). Come sempre un progetto di alto spessore artistico, caratterizzato da composizioni eccellenti e una collocazione sonora perfettamente mirata.
EVA KUNT - Plastic Era
Dietro il suggestivo marchio di fabbrica si cela un personaggio di lunga esperienza nella musica nostrana, su lidi spesso molto distanti l'uno dall'altro. Dieci brani strumentali in cui confluiscono atmosfere lounge e chill out, una vena jazz di gusto anni Settanta, quando gradì molto mischiarsi al funk, un groove hip hop. Il tutto perfettamente gestito in chiave elettronica con campionamenti usati con discrezione e sapienza nel sapere creare un mood caldo, avvolgente e sinuoso.
SALMO – Ranch
Il rapper/autore sardo firma il settimo album di una carriera sempre più solida a livello di personalità, ben distinta e distintiva nel panorama musicale italiano. Salmo riesce ad affiancare perfettamente l’anima più hardcore a quella cantautorale, con il suo classico hip hop aggressivo ma che può aprirsi ad atmosfere riflessive e malinconiche. Un album ricco di idee e di testi maturi, pur nelle frequenti provocazioni verbali, sua peculiare caratteristica. Sa il fatto suo, riesce a soddisfare la base di estimatori abituali ma è sempre in grado di guardare più lontano, ogni volta aggiungendo un nuovo tassello artistico alla sua opera. Ottimo.
MUITO KABALLA - Loving You
Il collettivo tedesco regala un pulsante e solare ep in cui soul, funk, hip hop, jazz, afrofunk, ritmi caraibici si mischiano in un calderone sonoro stimolante e travolgente. Notevoli.
THE VIOLET MINDFIELD - Distorted Portrait
Terzo album per la band di Los Angeles e dintorni. Niente di nuovo sotto il cielo del garage punk. Accordi, ritmi e melodie sono sempre gli stessi. Ma va bene così perché non è certa richiesta l'innovazione o chissà quali contaminazioni. Funziona così e non dispiace affatto ascoltare di queste cose nel 2025.
ASCOLTATO ANCHE:
CHARIF MEGARBANE (dal Libano un gusto particolare per le colonne sonore anni 60/70, interesssante), BACAO & RHYTHM STEEL BAND (il misterioso collettivo tedesco alle prese con il suo consueto stile funk caraibico di grande classe), CUCO (da L.A. un buon slow soul in gusto Chicano con qualche folata psych), SHAKTI SOUNDSYSTEM (psichedelia, kraut rock, fusion, sperimentazione), TAJ MAHAL e KEB Mo (country blues, molto The Band, piacevole).
SINGOLI
THE KEVIN FINGIER COLLECTIVE - The Boogaloo Ep
Una raccolta di singoli in un ep in vinile
BANDA MAJE - Mo.../ (Roda de) Samba Maje
Stupendo singolo in cui la band napoletana recupera "Mo..." di Peppino di Capri trasformadola in un funk soul perfettamente Style Council. Sul lato B una samba irresistibile.
MIGHTY MOCAMBOS - Spinning
La band di amburgo con un vero e proprio killer, tra soul e funk, con la voce calidssima di Nichola Richards. A breve l'album, le premesse sono eccellenti.
FEED LA - Feed La
Dalla Germania un buon funk strumentale che non brilla per originalità ma ha un buon tiro.
SABABA 5 - VU
Ammaliante singolo per la band parigina che mischia funk psichedelico strumentale a melodie medio orientali ipnotiche e accattivanti umori ethiojazz.
BRENDA - Where Did I Go Wrong? / Family
Mellow soul dalle tinte estive, da bordo piscina, in chiave vintage 60's, molto gradevole, caldo e avvolgente.
LETTO
Daniele Miglietti, Francesca Alfano Miglietti "FAM" - Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto
Raramente un personaggio è stato così detestato, addirittura odiato, incolpato della più grande delle nefandezze nella storia del pop/rock, lo scioglimento dei Beatles.
Retrospettivamente è però invece lecito chiedersi chi dei due ci ha rimesso di più nel legame indissolubile tra Yoko Ono e John Lennon.
Contro ogni vulgata è stata probabilmente la grande artista giapponese che, da pionieristica icona della sperimentazione e dell'avanguardia, è stata derubricata per sempre a stramba (l'epiteto più gentile nei suoi confronti) compagna di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi.
Il libro “Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto” di Francesca Alfano Miglietti (FAM) e Daniele Miglietti per Shake Edizioni, confuta con facilità questa tesi, facendo luce, puntigliosa e competente, sull'operato artistico di Yoko Ono, smontando, contestualizzando e analizzando la sua opera, tutte le sciocche dicerie che hanno avvelenato la relazione con John e la sua vita.
Sottolineando ad esempio che “mentre Ono era a fianco di John Cage e Marcel Duchamp, i Beatles sudavano e prendevano anfetamine vestiti di pelle nera in oscuri club di Amburgo” e quando i Fab Four abbozzavano i primi timidi tentativi di uscire dalla bolla di gruppo adolescenziale in “Help”, nel 1965, lei “era intenta a disorientare il pubblico della Carnegie Hall di New York con composizioni spiazzanti”.
Il libro si addentra minuziosamente nell'intera opera di Yoko Ono, partendo dalle prime sperimentazioni con il gruppo Fluxus, facendo agli albori degli anni Sessanta “del femminismo, dell'uguaglianza tra le razze e della compassione tra tutte le creature, la propria personale ragion di essere”.
John Lennon ammise sempre quanto fosse cristallina la loro relazione: “Il nostro rapporto è davvero di professore e allievo. Sono io che ho la notorietà, ma è lei che mi ha insegnato tutto”.
I Beatles finirono (già qualche tempo prima dell'annuncio ufficiale) semplicemente perché si era concluso il loro incredibile ciclo artistico, Yoko non ne ebbe alcuna responsabilità.
Era John che la voleva sempre accanto, non lei a volersi intrufolare negli affari della band.
Un testo esaustivo, ricchissimo di informazioni, quanto è stata l'attività artistica (e, anche, molto influente, quella musicale, vedi B52's, Sonic Youth, Flaming Lips, il giro Riot Grrrl) di Ono, della quale si comprende la grandezza intellettuale e la statura culturale di un personaggio che “non è mai assurto al prestigio di icona pop...la prova incontrovertibile e tangibile del radicalismo della sua poetica”.
"Icona anticipatrice dell'arte concettuale e partecipativa, Yoko Ono lascia un gesto indelebile nella cultura contemporanea, tracciata dal suo forte attivismo per la pace quanto dalla sua operosità per l'ambiente, il femminismo, la musica, il cinema e le rappresentazioni.
"Molte delle idee di Yoko Ono non sono pensate per essere esposte.Sono più come esperimenti mentali. Molti hanno dei preconcetti su Yoko Ono, ma una volta che li superano e guardano davvero ciò che ha effettivamente prodotto, iniziano a capire che grande artista sia in realtà.".
"Già negli anni Cinquanta Yoko Ono aveva sperimentato tra i confini di musica, performance, poesia e arte visiva".
Alex Loggia - Leo e Zoe – Storia di un amore improbabile
In questo esordio letterario Alex Loggia (storico chitarrista degli Statuto e tanto altro) scrive come suona: preciso, elegante, raffinato, soulful.
Il romanzo racconta dell'amore e delle vicende adolescenziali di Leo e Zoe, che incrociano il mondo mod e delle sottoculture, delle nottate senza fine, delle illusioni e delle delusioni, della realtà cruda e spiazzante che spegne i voli idealistici ma forgia uno spirito che diventa inossidabile per la vita.
Riporto la prefazione che Alex mi ha gentilmente richiesto per il libro e che ne riassume il contenuto:
Per scrivere un romanzo che in modo credibile racconti di avventure giovanili, legate ad elementi sottoculturali e poco conosciuti, bisogna averle vissute in prima persona. Come è accaduto all'autore, testimone e protagonista diretto di quella epopea che fu il movimento Mod in Italia negli anni Ottanta, a cui si legava e affiancava una scena sottoculturale dai mille risvolti, filosofici ed estetici, che coinvolse migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Italia.
Fu un momento di esplosione di vitalità, urgenza, freschezza, spontaneità, un periodo seminale, i cui frutti germinano ancora oggi.
Le serate, le vicende, i concerti, i raduni descritti nel romanzo hanno molti agganci autobiografici e fotografano al meglio le sensazioni che respiravamo in quegli anni, così importanti e formativi. Hanno forgiato la nostra vita, l'hanno totalmente cambiata, chissà se in bene o in male, sicuramente l'hanno resa diversa e più interessante.
Leo e Zoe ci ricordano quei momenti irripetibili, nel modo più fedele a come è stato.
Bruno Segalini - Fiamme e rock’n’roll. Romanzo veridico sullo sgombero del Leoncavallo, 1989
Ristampa di un romanzo/verità, tanto esalirante, quanto fedele all'accaduto nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1989, quando la sede storica del Centro Sociale Leoncavallo venne sgombrata, con un enorme spiegamento di forze e subito dopo abbattuto.
La resistenza di un manipolo di occupanti si tinge in queste righe di aspetti tragicomici ma che mettono in rilievo il dramma di una città che incominciava/proseguiva la gentrificazione, l'omologazione, la "pulizia delle differenze", l'abbattimento di qualsivoglia forma di antagonismo.
Al centro della vicenda il tentativo di una band che provava nel centro (gli ottimi Pila Weston) di salvare e proteggere i propri strumenti lasciati in una sala.
Un'intervista a Primo Moroni suggella, alla perfezione, il contesto in cui si manifestò l'evento.
Divertente, potenziale perfetta sceneggiatura per un film, mette insieme lotta politica e commedia all'italiana.
Acre come un lacrimogeno, godibile come la gioventù di un ventenne.
GIMME DANGER
Personalmente partecipo con una retrospettiva su Mitch Ryder & the Detroit Wheelers, un'intervista agli Sharp Class e un po' di recensioni.
E anche nel singolo allegato con i Not Moving, alle prese con una versione semi acustica di "Gimme Danger" di Iggy and the Stooges.
Richiedetelo a: gimmedanger2022@gmail.com
VISTO
Belfast di Kenneth Branagh
Arriva su Netflix l'ottimo film del 2021 del grande regista nord irlandese che ci riporta alla sua infanzia, nel 1969, ai tempi dei "troubles" a Belfast, tra violenza religiosa, una vita agral la decisione di lasciare tutto per orizzonti migliori. Fotografia stupenda in bianco e nera, ottima sceneggiatura, ambientazione d'epoca suggestiva con colonna sonora di Van Morrision da brividi.
La stranezza di Roberto Andò
Storia leggera e bizzarra della (presunta e immaginata) genesi di "Sei personaggi in cerca d'autore". Molto bravi Ficarra e Picone, ottimo, comne sempre, Toni Servillo nei panni di Luigi Pirandello.
L'abbaglio di Roberto Andò
Garibaldi sbarca in Sicilia con i mille mentre due sbandati e imbroglioni (Ficarra e Picone, brillanti e a perfetto agio) cercano di districarsi nel caos circostante. Divertente, curioso, ben fatto, con finale a sorpresa (o quasi).
Mods Mayday 2025
Il resoconto del Festival Mods Mayday 2025 tenutosi a Londra il 4 maggio scorso dalle parole di Oscar Giammarinaro, anche sul palco con gli STATUTO.
Iniziamo dalla fine, cioè dal nostro concerto.
Essere "headliner" della sala 2 era pericoloso, sia perché c'era il rischio che tanto pubblico andasse via dopo i Secret Affair (band più attesa) e per la contemporaneità dell'esibizione con gli Style Councillors, la tribute band ufficiale degli Style Council, sicuramente molto piacevole da ascoltare.
Effettivamente a inizio concerto, la sala non era gremita e il gruppo di italiani (devo dire molto folto per questa edizione) dominava davanti al nostro palco. Il colpo d'occhio era comunque buono e noi eravamo molto carichi e motivati, pronti a divertirci e a condividere l'emozione di suonare in un contesto che è sempre stato per me "Il Paese dei Balocchi" fin da quando mi sono scoperto mod da ragazzino.
Nella scaletta (vedi foto di Dave Edwards) non abbiamo inserito brani del "Football Club" ma brani che più sembravano adatti a un Mods Mayday e la scelta ha decisamente pagato.
Infatti, pian piano arrivavano mods dall'altra sala e si fermavano ad ascoltare, sempre di più e sempre più coinvolti e partecipi.
E' risaputo che io sono quasi cieco, ma era veramente spassoso vedere da sotto i miei occhiali i volti degli inglesi che ci ascoltavano col sorriso stampato in volto. La stessa espressione che aveva il pubblico ai nostri inizi, quando non ci conosceva proprio nessuno e ci esibivamo per le prime volte.
Gli applausi a fine di ogni brano erano veramente calorosi e le mie presentazioni in un inglese più che maccheronico venivano accolte con simpatia da chi mi capiva e chi no.
Sono sicuro che molti amici inglesi hanno capito la mia dedica del brano BELLA STORIA a Geraldine, amica mod storica appena scomparsa.
Dopo metà concerto la sala si era riempita e il pubblico ci ha veramente fatti sentire importanti e gratificati in una trasferta sicuramente faticosa e avventurosa ma perfettamente riuscita.
In tanti ballavano, addirittura l'attore Trevor Laird, colui che interpreta Ferdi in "Quadrophenia", si univa alle danze nel nostro gran finale.
I nostri brani storici li abbiamo suonati tutti e abbiamo proposto tutti i nostri generi, cioè ska, powerpop, soul e rocksteady.
L'amico Dave Edwards, per l'occasione presentatore dell'evento, nella recensione del nostro concerto (molto positiva e ringraziamo) paragona il nostro ska a quello dei Bad Manners e, onestamente ma non volutamente, ho sempre affermato che tra i gruppi della 2Tone, era proprio quello di Fatty ad assomigliarci di più.
Torniamo però sul palco e agli ultimi brani, cioè SOLO TU (inserita nella compilation del Mayday della Heavy Soul rec.), ABBIAMO VINTO IL FESTIVAL PIAZZA STATUTO che per noi sono stati veramente un momento di sublimazione assoluta, un premio per il nostro impegno e dedizione al modernismo da 42 anni a questa parte,con indiscutibile coerenza e capacità di perseveranza evolutiva.
Certo, il supporto sottopalco di nostri amici storici di piazza Statuto ma anche di piazza della Scala e provenienti da altre parti d'Italia, ci ha dato la forza dell'identificazione che ci ha resi ancor più brillanti, insomma, suonavamo e cantavamo per conto di tutti.
A fine concerto, un sacco di persone presenti che non ci avevano ovviamente mai sentiti ci hanno fatto i complimenti, sinceri e non dovuti, così come tanti i complimenti anche dai componenti di altre band che si sono esibite.
Ero fiducioso sulla nostra accoglienza, ma la reazione è andata aldilà delle più ottimistiche aspettative.
Merito dei musicisti della band che hanno acquisito l'attitudine perfetta per i nostri generi musicali, con vero entusiasmo.
Il ringraziamento particolare al nostro manager Francesco Venuto che ha organizzato la trasferta ottimizzando al meglio e super mega ringraziamento al mio storico amico mod Andrea Napoli e a suo fratello Marco che ci hanno ospitati, sfamati, accompagnati e hanno collaborato sul palco e in tutta la logistica: senza di loro, credetemi assolutamente, non saremmo potuti andare a suonare al Mods Mayday 2025.
Grazie di cuore ai Napoli Brothers.
Sono riuscito a sentire almeno un po' brani di quasi tutte le altre band.
E vado in ordine sparso nel commentare tutte esibizioni di altissimo livello, a partire da Mark McGounden che mi ha "colpito" con una versione eccellente di "The girl that touch my soul" dei Makin'Time, fino alla bellissima "Step in back" suonata dai Threads.
Piacevolissima sorpresa live i Block33 e conferma di trend di valore assoluto per i fratelli Meynell cioè gli Squire e per gli Small World, che hanno nella voce di Chris Philipott un vero fiore all'occhiello.
I Big Boss Man sono sempre stati molto originali nei ritmi e negli arrangiamenti e dal vivo sono una vera bomba.
I Chords Uk hanno una carica e precisione degna del loro primo lavoro su disco di 45 anni fa', giusta la scelta di far iniziare loro, cioè inizio col botto.
E "col botto" erano anche i due artisti che ha non proseguito il concerto in sala 1.
Prima Rhoda Dakar, che non è più la ragazzina delle spumeggianti Body Snatchers,ma una cantante dalla voce pazzesca, carisma totale e una band superlativa.
Dopo di lei i più giovani cioè gli Sharp Class, che sono ulteriormente migliorati dallo scorso anno.
Un suono compatto, preciso e travolgente, una voce intonata da sembrare su disco, una professionalità e una tecnica che farà sicuramente di loro una delle migliori nuove band britanniche, anche al di fuori della scena mod.
Non ho sentito i New Street Adventure perché sono andato in sala 3 a sentire il dibattito condotto da Eddie Piller con Ian Page e dave Cairns, con tutti i posti esauriti e molto interesse e domande da parte del pubblico.
Ammetto che ho capito molto poco, purtroppo l'inglese non l'ho imparato (mia grossa lacuna), ma mi piaceva l'atmosfera e l'abilità e la competenza di Piller nel stimolare e raccontare di musica emerge comunque così l'evidente valore della storia e del significato di Ian & Dave e dei Secret Affair.
Tornavo in sala ad ascoltare i Purple Hearts, sempre più spumeggianti e carichi col passare degli anni, i loro brani sono dei veri gioielli del power pop ed è sempre un vero piacere ascoltarli.
Poi il concerto dei Secret Affair, che per me non è un concerto ma un vero e proprio rito e atto di fede musicale e ideologica della mia vita mod.
Non deludono mai.
Questa volta una scaletta fulminante con i brani dell'album "Glory Boys" suonati e cantati alla grande con quella maestria e credibilità che fa di loro la quintessenza dei musicisti mod, sia in senso storico che artistico.
Oltre ai brani del primo disco anche il capolavoro "One day in your life" e naturalmente una commovente "My world", brano talmente bello e importante che noi usiamo come sigla dei nostri concerti quando saliamo sul palco (ovviamente non lo abbiamo fatto al Mayday..).
Mentre risuonavano le ultime note della loro performance, noi ci spostavamo nell'altra sala per montare il nostro palco e in attesa della chitarra, del basso e della tastiera che la band ci ha gentilmente prestato e poi... si torna all'inizio di questo reportage.
Voglio ringraziare Adrian Gibson AGMP per averci invitati e averci dato questa grande opportunità e soddisfazione, Dave Cairns, Andrew Gilbert, Gary Walsh, Edwin Pearson dei Secret Affair per la disponibilità, Adam Cooper della Heavy Soul per la compilation e l'amico David Edwards per l'accoglienza, la presentazione e il supporto (ci rivediamo al raduno Mod Italiano a Cattolica il 26 e 27 settembre).
E adesso andiamo avanti nella solita e unica giusta direzione, cioè quella del Modernismo.
Come diceva il grande Demetrio dei Four By Art ?...
"E' bello essere mod".
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.
Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/
Prossime presentazioni:
Giovedì 5 giugno:
San Nicolò (Piacenza)
Biblioteca Comunale ore 21
Venerdì 27 giugno:
Fano
Passaggi Festival
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, Casino Royale, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.
FRANK POPP ENSEMBLE - Waves
Frank Popp non delude mai. Soul, Northern soul, psichedelia, lounge, perfino kraut rock e ospiti particolarissimi come Nicke Andersson già con Entombed e Hellacopters alle prese con un tiratissimo soul in "Caught in Your Web" o Gerry Love dei Teenage Fanclub. E ancora l'attrice e modella Emma Noble e il cantante australiano J Mahon. Come sempre divertente, godibile, colorato, fresco, pieno di sorprese.
M ROSS PERKINS - What's the Matter, M Ross?
Al quarto album il cantautore dell'Ohio ci porta in un mondo profondamente Beatlesiano, a tratti in modalità calligrafica, ma che si concede anche a power pop, beat, boogaloo, tocchi di pop psichedelico. L'approccio è però molto personale, costantemente "folle" e alla fine originale. Una piacevolissima sorpresa.
FREEDOM AFFAIR - Freedom Affair
Spettacolare secondo album per la band americana, registrato in analogico e fedelissimo al sacro groove del più classico Southern Soul anni Sessanta/Settanta. Le stupende voci di Paula Saunders, Seyko Groves e Shon Ruffin vanno a nozze su una base caldissima che ci riporta ai fasti di un tempo. Non rivoluzionerà il mondo della musica ma rimarrà uno dei migliori album "black" del 2025.
SUZANNE VEGA - Flying With Angels
Assente da lungo tempo dalla discografia Suzanne Vega torna con un album davvero bello, vario, pieno di suggestioni sonore e testi combattivi che guardano con lucidità alla triste e complicata attualità (la struggente "Last Train to Mariupol").
Al classico folk rock affianca elementi soul (stupenda "Love Thief"), un inaspettato (quasi) garage punk rock in "Rats", un esplicito omaggio a Dylan ("Chambermaid" rilegge "I Want You").
Consueta classe, innata eleganza, voce inconfondibile, espressività al top.
EMMA JANE THACKRAY - Weirdo
La polistrumentista inglese al secondo album va oltre l'ora di musica, lungo 19 brani in cui esplora i più svariati sentieri, dall'acid jazz, al soul, al funk, allo swing, hip hop, drum and bass, fusion, jazz rock. Un lavoro monumentale, sempre di altissimo spessore, suonato alla perfezione e particolarmente ispirato.
PETE DOHERTY - Felt Better Alive
A 11 anni dal precedente album, il "sopravissuto a stento" ritorna in veste solista e festeggia di essere ancora vivo, dopo le note drammatiche vicissitudini. Lo scorso anno aveva scritto un mezzo capolavoro con i Libertines, oggi esce con un buon disco, malinconico, dalle frequenti tinte country, con qualche episodio più swingante, "Poca Mahoney" con Lisa O'Neill dal gusto punkeggiante. Merita un ascolto e la consueta vecchia domanda quanto i bad habits che lo hanno accompagnato per tanto tempo hanno aiutato o dissipato la sua creatività.
LOUIS PHILIPPE & THE NIGHT MAIL - The Road To The Sea
Piccolo genio della canzone meno scontata Louis Philippe ha sempre navigato in acque nascoste al grande pubblico, dall'esordio circa 40 anni fa con la "sua" El Records. In mezzo una nutrita discografia, sempre caratterizzata da un timbro ben riconoscibile che ritroviamo intatto anche in questo nuovo lavoro, prodotto da Andy Lewis. Difficile (e altrettanto facile) trovare riferimenti ma la sua musica unisce tasselli di Burt Bacharach, canzone francese, Style Council (in particolare quelli di "Café Bleu" e i classicismi di "Confessions Of A Pop Group"), Beach Boys, il primo Paul MccCrtney solista (con o senza Wings), Prefab Sprout, XTC. Delizioso.
SOUTHERN AVENUE - Family
Arrivano da Memphis, Tennessee e nel quarto album "Family" sfoderano una miscela entusiasmante di gospel, southern soul, country, blues.
Voci stupende, retaggi Staple Singers (non a caso hanno inciso per la Stax Records) e un approccio moderno e freschissimo.
TANIKA CHARLES - Reason To Stay
La soul woman canadese firma il quarto album in cui, ancora una volta, si muove, con grazia ed eleganza, nel soul più classico, con una predilezione per i tempi medi, le ballate intense e avvolgenti, melodie accattivanti, temperature calde, colori interpretativi intensi in pieno stile vintage anni Sessanta ma in una chiave moderna. Un lavoro godibile, divertente, solare, perfetto per ogni amante della soul music più pura.
THE AFRO-AMERICAN ENSEMBLE - Free The Black Man's Chains
Preziosa (prima) ristampa di un oscuro album del 1971 tra soul, funk e gospel, pubblicato dopo l'uscita di tre singoli dei Broad Street Gang. Tra i musicisti coinvolti Mitchell Rowe, Bobby Eli, Len Pakula, Daryl Hall, Ron Baker, Norman Harris, The Raelettes e gli archi arrangiati da Richie Rome. Una specie di concept propedeutico per un film o un musical (a cui l'impostazione compositiva si accosta spesso) ma che finì presto nel dimenticatoio. Un lavoro eccellente, da riscoprire e apprezzare.
SAULT - Acts Of Faith
Dopo aver bulimicamente riempito la sua discografia di album in pochi anni (l'ultima volta due anni fa con ben 5 lavori in contempranea) il collettivo inglese torna a farsi sentire, guidato dall'eccellente voce di Cleo Sol, con una suite divisa in 9 distinti brani a base di un soul funk molto melodico e soffice, moderno e avvolgente, di estrema gradevolezza, tra umori 70, Curtis Mayfield, gospel, jazz.
JAMES TAYLOR QUARTET - Only Messin'
Ormai la discografia di James Taylor (con o senza il Quartet o altre denominazioni) è inestricabile e le pubblicazioni non si contano più. Questo nuovo ep esce solo in vinile si avvale del contributo chitarristico del compare nei Prisoners, Graham Day, e di una sezione fiati che conferisce al ruvido funk soul dei quattro brani un groove pazzesco.
AA.VV. - The Countdown Records Story 1985-88
Poco prima di fondare la fortunata Acid Jazz Records, Eddie Piller ci provò con la Countdwon records per la quale incisero eccellenze come Makin' Time e Prisoners e nel 1985 pubblicò la seminale compilation "Countdown Compilation" con il meglio della nuova scena mod, successiva a quella del 1979, Prisoners, Makin Time, Times, The Moment, Gents, Scene, Fast Eddie tra i tanti.
A 40 anni dalla prima uscita esce questa nuova raccolta in vinile (per l'Acid Jazz) con alcune di quelle band e altre aggiunte, in una sorta di "meglio" dell'etichetta.
La tracklist è invitante e l'ascolto ci conforta per la freschezza che mantiene quel sound e ci fa rammaricare di come molti di questi nomi, pur con così tanto talento, non abbiano fatto strada.
CASINO ROYALE - Fumo
Senza dubbio una delle band più rappresentative e innovative che hanno attraversato lo scibile musicale italiano dal punk in poi. In grado di evolversi in continuazione, dallo ska iniziale a forme sonore sempre più contaminate, tra rock, funk, hip hop, soul, elettronica, dub, drum and bass e tanto altro, fedeli allo spirito della prima pietra miliare della fusione di stili, "Sandinista" dei Clash, a cui hanno fatto spesso esplicito riferimento. Il nuovo album è impostato come una suite unica che lega i vari brani, colonna sonora in cui convergono tutte le varie variabili dell'amata black music, declinata in chiave moderna ma con agganci voluti ed evidenti alle radici. A fianco degli storici membri Alioscia e Patrick Benifei, le voci della giovane rapper Alda e di Marta Del Grandi. Album stupendo e di altissimo livello.
CESARE BASILE - Nivura Spoken
Una delle particolarità più apprezzabili in un artista è la capacità di reinventarsi, rimettersi costantemente in discussione, aprirsi a nuovi orizzonti, senza cullarsi nell’auto omologazione. Cesare Basile non ha mai mai avuto di questi problemi, in una (lunga) carriera, costellata da continui e progressivi cambiamenti artistici, talvolta sorprendenti ma, con il senno di poi, appartenenti a un unicum creativo, saldamente legato da un robusto filo conduttore. Da tempo sperimenta con elettronica e una strumentazione spesso inventata e autocostruita. In questo progetto, rimasto per anni nel cassetto e finalmente pubblicato (in CD e cassetta), entra in un abrasivo e ostile ambito sonoro quasi industrial, talvolta dissonante, affiancandosi alle voci (dialettali e in lingua) di Nada, Rita Lilith Oberti, Sara Ardizzoni, Vera Di Lecce, Valentina Lupica e Sarah Elkahlout. Riservato e destinato a chi sa guardare avanti (e dentro).
EUGENIO FINARDI – Tutto
Uno dei cantautori italiani più rappresentativi in assoluto di sempre, chiude la carriera discografica con l’ultimo anno di inediti, a celebrare i 50 anni di attività. Lo fa con la consueta eleganza mista a rabbia, disillusione, speranza. Testi sempre incisivi, lucidi, spiazzanti che sanno guardare con uguale profondità passato, presente e futuro. Musicalmente si pone sempre in perfetto equilibrio tra canzone d’autore, rock, suoni ricercati, umori mediterranei. Se sarà veramente un addio, lo avrà fatto nel migliore dei modi.
THE PROPER – Meant To Say Something
La band guidata da Ivano Bonfanti firma il secondo album della carriera, iniziata nel 2015 in quel di Londra. Gli undici episodi sono solidi brani che mischiano power pop, mod rock alla Jam, melodie anni Sessanta e un sound chitarristico aspro e nervoso. La produzione (di Brett Buddy Ascott, ex Chords) è attenta ed efficace, le canzoni sono stilisticamente eclettiche, sempre ben composte e curate, l’attitudine quella giusta. Album maturo, di respiro internazionale e alto livello qualitativo.
LIQUID GERMS - Return to Earth
Inaspettato ritorno della band piacentina, nata nel 1997 ma dalla carriera altalenante, con vari cambi di formazione e una discografia limitata a un album e a uno split. Il previsto nuovo lavoro nel 2001 rimase confinato a un demo Cd che viene ora riproposto, completamente risuonato e con l'aggiunta di altre canzoni realizzate all'epoca. Il sound rimane quello degli esordi, un surf strumentale potente e amfetaminico, fortemente influenzato dalla lezione di Man Or Astroman e Devo, sposati al suggestivo immaginario dei film di fantascienza anni 60/70 da Star Trek alla serie UFO (con tanto di spezzoni audio ricavati dai film originali). Divertente, originale, suonato benissimo.
ARPIONI - Buona Mista Social Ska
La band "internazionale" pubblica il secondo volume (a 25 anni dal precedente), dedicato alla rivisitazione "in levare" di brani della canzone d'autore italiana. L'aspetto rilevante è innanzitutto la scelta del materiale, mai banale, che rovista nei meandri più oscuri, da I Ribelli a un brano "minore" di Lucio Dalla ma non disdegna classici come "Azzurro" o "Lugano addio". Ma c'è anche la capacità di riprendere il tutto attraverso le varie declinazioni dello ska, da quello più tradizionale, al rocksteady, alle origini con il Mento (folk giamaicano), fino a umori più classicamente original reggae. Irresistibile la "Tanto pe' cantà" con la voce di Valerio Mastrandrea, uno degli ospiti con Tonino Carotone, AWA FALL aka Sista Awa e Diego Bianchi. Un album divertente, solare, riuscitissimo.
A/LPACA - Laughter
Torna il dissonante quartetto mantovano con un nuovo album che parla, come ci hanno abituati, un linguaggio originale perché attinge da riferimenti insolitamente miscelati, che finiscono per produrre un insieme che non è semplice definire. Un pregio sempre meno comune. Nel nostro caso la matrice più genericamente ovvia è quella dei Sonic Youth, che sapevano abbinare un'attitudine punk alla voglia di sperimentare e rendere abrasivo tutto ciò che toccavano. Non dimenticano però certi sguardi alla psichedelia meno ovvia (e a quella Barrettiana), alla no wave, all'incedere ritmico ipnoticamente kraut. Ancora una volta hanno fatto centro.
NANA BANG! - How To Come Invisible
Nuovo album (prodotto e supervisionato da Giovanni Ferrario) per Andrea Fusari e Beppe Mondini ovvero i Nana Bang! side-project di GuruBanana. Undici brani in cui proseguono nel loro classico solco sonoro, figlio di Velvet Underground, Modern Lovers, Violent Femmes, tra folk punk, folate psichedeliche di sapore Paisley Underground, minimalismo rock (Pavement in particolare). Come sempre un progetto di alto spessore artistico, caratterizzato da composizioni eccellenti e una collocazione sonora perfettamente mirata.
EVA KUNT - Plastic Era
Dietro il suggestivo marchio di fabbrica si cela un personaggio di lunga esperienza nella musica nostrana, su lidi spesso molto distanti l'uno dall'altro. Dieci brani strumentali in cui confluiscono atmosfere lounge e chill out, una vena jazz di gusto anni Settanta, quando gradì molto mischiarsi al funk, un groove hip hop. Il tutto perfettamente gestito in chiave elettronica con campionamenti usati con discrezione e sapienza nel sapere creare un mood caldo, avvolgente e sinuoso.
SALMO – Ranch
Il rapper/autore sardo firma il settimo album di una carriera sempre più solida a livello di personalità, ben distinta e distintiva nel panorama musicale italiano. Salmo riesce ad affiancare perfettamente l’anima più hardcore a quella cantautorale, con il suo classico hip hop aggressivo ma che può aprirsi ad atmosfere riflessive e malinconiche. Un album ricco di idee e di testi maturi, pur nelle frequenti provocazioni verbali, sua peculiare caratteristica. Sa il fatto suo, riesce a soddisfare la base di estimatori abituali ma è sempre in grado di guardare più lontano, ogni volta aggiungendo un nuovo tassello artistico alla sua opera. Ottimo.
MUITO KABALLA - Loving You
Il collettivo tedesco regala un pulsante e solare ep in cui soul, funk, hip hop, jazz, afrofunk, ritmi caraibici si mischiano in un calderone sonoro stimolante e travolgente. Notevoli.
THE VIOLET MINDFIELD - Distorted Portrait
Terzo album per la band di Los Angeles e dintorni. Niente di nuovo sotto il cielo del garage punk. Accordi, ritmi e melodie sono sempre gli stessi. Ma va bene così perché non è certa richiesta l'innovazione o chissà quali contaminazioni. Funziona così e non dispiace affatto ascoltare di queste cose nel 2025.
ASCOLTATO ANCHE:
CHARIF MEGARBANE (dal Libano un gusto particolare per le colonne sonore anni 60/70, interesssante), BACAO & RHYTHM STEEL BAND (il misterioso collettivo tedesco alle prese con il suo consueto stile funk caraibico di grande classe), CUCO (da L.A. un buon slow soul in gusto Chicano con qualche folata psych), SHAKTI SOUNDSYSTEM (psichedelia, kraut rock, fusion, sperimentazione), TAJ MAHAL e KEB Mo (country blues, molto The Band, piacevole).
SINGOLI
THE KEVIN FINGIER COLLECTIVE - The Boogaloo Ep
Una raccolta di singoli in un ep in vinile
BANDA MAJE - Mo.../ (Roda de) Samba Maje
Stupendo singolo in cui la band napoletana recupera "Mo..." di Peppino di Capri trasformadola in un funk soul perfettamente Style Council. Sul lato B una samba irresistibile.
MIGHTY MOCAMBOS - Spinning
La band di amburgo con un vero e proprio killer, tra soul e funk, con la voce calidssima di Nichola Richards. A breve l'album, le premesse sono eccellenti.
FEED LA - Feed La
Dalla Germania un buon funk strumentale che non brilla per originalità ma ha un buon tiro.
SABABA 5 - VU
Ammaliante singolo per la band parigina che mischia funk psichedelico strumentale a melodie medio orientali ipnotiche e accattivanti umori ethiojazz.
BRENDA - Where Did I Go Wrong? / Family
Mellow soul dalle tinte estive, da bordo piscina, in chiave vintage 60's, molto gradevole, caldo e avvolgente.
LETTO
Daniele Miglietti, Francesca Alfano Miglietti "FAM" - Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto
Raramente un personaggio è stato così detestato, addirittura odiato, incolpato della più grande delle nefandezze nella storia del pop/rock, lo scioglimento dei Beatles.
Retrospettivamente è però invece lecito chiedersi chi dei due ci ha rimesso di più nel legame indissolubile tra Yoko Ono e John Lennon.
Contro ogni vulgata è stata probabilmente la grande artista giapponese che, da pionieristica icona della sperimentazione e dell'avanguardia, è stata derubricata per sempre a stramba (l'epiteto più gentile nei suoi confronti) compagna di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi.
Il libro “Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto” di Francesca Alfano Miglietti (FAM) e Daniele Miglietti per Shake Edizioni, confuta con facilità questa tesi, facendo luce, puntigliosa e competente, sull'operato artistico di Yoko Ono, smontando, contestualizzando e analizzando la sua opera, tutte le sciocche dicerie che hanno avvelenato la relazione con John e la sua vita.
Sottolineando ad esempio che “mentre Ono era a fianco di John Cage e Marcel Duchamp, i Beatles sudavano e prendevano anfetamine vestiti di pelle nera in oscuri club di Amburgo” e quando i Fab Four abbozzavano i primi timidi tentativi di uscire dalla bolla di gruppo adolescenziale in “Help”, nel 1965, lei “era intenta a disorientare il pubblico della Carnegie Hall di New York con composizioni spiazzanti”.
Il libro si addentra minuziosamente nell'intera opera di Yoko Ono, partendo dalle prime sperimentazioni con il gruppo Fluxus, facendo agli albori degli anni Sessanta “del femminismo, dell'uguaglianza tra le razze e della compassione tra tutte le creature, la propria personale ragion di essere”.
John Lennon ammise sempre quanto fosse cristallina la loro relazione: “Il nostro rapporto è davvero di professore e allievo. Sono io che ho la notorietà, ma è lei che mi ha insegnato tutto”.
I Beatles finirono (già qualche tempo prima dell'annuncio ufficiale) semplicemente perché si era concluso il loro incredibile ciclo artistico, Yoko non ne ebbe alcuna responsabilità.
Era John che la voleva sempre accanto, non lei a volersi intrufolare negli affari della band.
Un testo esaustivo, ricchissimo di informazioni, quanto è stata l'attività artistica (e, anche, molto influente, quella musicale, vedi B52's, Sonic Youth, Flaming Lips, il giro Riot Grrrl) di Ono, della quale si comprende la grandezza intellettuale e la statura culturale di un personaggio che “non è mai assurto al prestigio di icona pop...la prova incontrovertibile e tangibile del radicalismo della sua poetica”.
"Icona anticipatrice dell'arte concettuale e partecipativa, Yoko Ono lascia un gesto indelebile nella cultura contemporanea, tracciata dal suo forte attivismo per la pace quanto dalla sua operosità per l'ambiente, il femminismo, la musica, il cinema e le rappresentazioni.
"Molte delle idee di Yoko Ono non sono pensate per essere esposte.Sono più come esperimenti mentali. Molti hanno dei preconcetti su Yoko Ono, ma una volta che li superano e guardano davvero ciò che ha effettivamente prodotto, iniziano a capire che grande artista sia in realtà.".
"Già negli anni Cinquanta Yoko Ono aveva sperimentato tra i confini di musica, performance, poesia e arte visiva".
Alex Loggia - Leo e Zoe – Storia di un amore improbabile
In questo esordio letterario Alex Loggia (storico chitarrista degli Statuto e tanto altro) scrive come suona: preciso, elegante, raffinato, soulful.
Il romanzo racconta dell'amore e delle vicende adolescenziali di Leo e Zoe, che incrociano il mondo mod e delle sottoculture, delle nottate senza fine, delle illusioni e delle delusioni, della realtà cruda e spiazzante che spegne i voli idealistici ma forgia uno spirito che diventa inossidabile per la vita.
Riporto la prefazione che Alex mi ha gentilmente richiesto per il libro e che ne riassume il contenuto:
Per scrivere un romanzo che in modo credibile racconti di avventure giovanili, legate ad elementi sottoculturali e poco conosciuti, bisogna averle vissute in prima persona. Come è accaduto all'autore, testimone e protagonista diretto di quella epopea che fu il movimento Mod in Italia negli anni Ottanta, a cui si legava e affiancava una scena sottoculturale dai mille risvolti, filosofici ed estetici, che coinvolse migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Italia.
Fu un momento di esplosione di vitalità, urgenza, freschezza, spontaneità, un periodo seminale, i cui frutti germinano ancora oggi.
Le serate, le vicende, i concerti, i raduni descritti nel romanzo hanno molti agganci autobiografici e fotografano al meglio le sensazioni che respiravamo in quegli anni, così importanti e formativi. Hanno forgiato la nostra vita, l'hanno totalmente cambiata, chissà se in bene o in male, sicuramente l'hanno resa diversa e più interessante.
Leo e Zoe ci ricordano quei momenti irripetibili, nel modo più fedele a come è stato.
Bruno Segalini - Fiamme e rock’n’roll. Romanzo veridico sullo sgombero del Leoncavallo, 1989
Ristampa di un romanzo/verità, tanto esalirante, quanto fedele all'accaduto nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1989, quando la sede storica del Centro Sociale Leoncavallo venne sgombrata, con un enorme spiegamento di forze e subito dopo abbattuto.
La resistenza di un manipolo di occupanti si tinge in queste righe di aspetti tragicomici ma che mettono in rilievo il dramma di una città che incominciava/proseguiva la gentrificazione, l'omologazione, la "pulizia delle differenze", l'abbattimento di qualsivoglia forma di antagonismo.
Al centro della vicenda il tentativo di una band che provava nel centro (gli ottimi Pila Weston) di salvare e proteggere i propri strumenti lasciati in una sala.
Un'intervista a Primo Moroni suggella, alla perfezione, il contesto in cui si manifestò l'evento.
Divertente, potenziale perfetta sceneggiatura per un film, mette insieme lotta politica e commedia all'italiana.
Acre come un lacrimogeno, godibile come la gioventù di un ventenne.
GIMME DANGER
Personalmente partecipo con una retrospettiva su Mitch Ryder & the Detroit Wheelers, un'intervista agli Sharp Class e un po' di recensioni.
E anche nel singolo allegato con i Not Moving, alle prese con una versione semi acustica di "Gimme Danger" di Iggy and the Stooges.
Richiedetelo a: gimmedanger2022@gmail.com
VISTO
Belfast di Kenneth Branagh
Arriva su Netflix l'ottimo film del 2021 del grande regista nord irlandese che ci riporta alla sua infanzia, nel 1969, ai tempi dei "troubles" a Belfast, tra violenza religiosa, una vita agral la decisione di lasciare tutto per orizzonti migliori. Fotografia stupenda in bianco e nera, ottima sceneggiatura, ambientazione d'epoca suggestiva con colonna sonora di Van Morrision da brividi.
La stranezza di Roberto Andò
Storia leggera e bizzarra della (presunta e immaginata) genesi di "Sei personaggi in cerca d'autore". Molto bravi Ficarra e Picone, ottimo, comne sempre, Toni Servillo nei panni di Luigi Pirandello.
L'abbaglio di Roberto Andò
Garibaldi sbarca in Sicilia con i mille mentre due sbandati e imbroglioni (Ficarra e Picone, brillanti e a perfetto agio) cercano di districarsi nel caos circostante. Divertente, curioso, ben fatto, con finale a sorpresa (o quasi).
Mods Mayday 2025
Il resoconto del Festival Mods Mayday 2025 tenutosi a Londra il 4 maggio scorso dalle parole di Oscar Giammarinaro, anche sul palco con gli STATUTO.
Iniziamo dalla fine, cioè dal nostro concerto.
Essere "headliner" della sala 2 era pericoloso, sia perché c'era il rischio che tanto pubblico andasse via dopo i Secret Affair (band più attesa) e per la contemporaneità dell'esibizione con gli Style Councillors, la tribute band ufficiale degli Style Council, sicuramente molto piacevole da ascoltare.
Effettivamente a inizio concerto, la sala non era gremita e il gruppo di italiani (devo dire molto folto per questa edizione) dominava davanti al nostro palco. Il colpo d'occhio era comunque buono e noi eravamo molto carichi e motivati, pronti a divertirci e a condividere l'emozione di suonare in un contesto che è sempre stato per me "Il Paese dei Balocchi" fin da quando mi sono scoperto mod da ragazzino.
Nella scaletta (vedi foto di Dave Edwards) non abbiamo inserito brani del "Football Club" ma brani che più sembravano adatti a un Mods Mayday e la scelta ha decisamente pagato.
Infatti, pian piano arrivavano mods dall'altra sala e si fermavano ad ascoltare, sempre di più e sempre più coinvolti e partecipi.
E' risaputo che io sono quasi cieco, ma era veramente spassoso vedere da sotto i miei occhiali i volti degli inglesi che ci ascoltavano col sorriso stampato in volto. La stessa espressione che aveva il pubblico ai nostri inizi, quando non ci conosceva proprio nessuno e ci esibivamo per le prime volte.
Gli applausi a fine di ogni brano erano veramente calorosi e le mie presentazioni in un inglese più che maccheronico venivano accolte con simpatia da chi mi capiva e chi no.
Sono sicuro che molti amici inglesi hanno capito la mia dedica del brano BELLA STORIA a Geraldine, amica mod storica appena scomparsa.
Dopo metà concerto la sala si era riempita e il pubblico ci ha veramente fatti sentire importanti e gratificati in una trasferta sicuramente faticosa e avventurosa ma perfettamente riuscita.
In tanti ballavano, addirittura l'attore Trevor Laird, colui che interpreta Ferdi in "Quadrophenia", si univa alle danze nel nostro gran finale.
I nostri brani storici li abbiamo suonati tutti e abbiamo proposto tutti i nostri generi, cioè ska, powerpop, soul e rocksteady.
L'amico Dave Edwards, per l'occasione presentatore dell'evento, nella recensione del nostro concerto (molto positiva e ringraziamo) paragona il nostro ska a quello dei Bad Manners e, onestamente ma non volutamente, ho sempre affermato che tra i gruppi della 2Tone, era proprio quello di Fatty ad assomigliarci di più.
Torniamo però sul palco e agli ultimi brani, cioè SOLO TU (inserita nella compilation del Mayday della Heavy Soul rec.), ABBIAMO VINTO IL FESTIVAL PIAZZA STATUTO che per noi sono stati veramente un momento di sublimazione assoluta, un premio per il nostro impegno e dedizione al modernismo da 42 anni a questa parte,con indiscutibile coerenza e capacità di perseveranza evolutiva.
Certo, il supporto sottopalco di nostri amici storici di piazza Statuto ma anche di piazza della Scala e provenienti da altre parti d'Italia, ci ha dato la forza dell'identificazione che ci ha resi ancor più brillanti, insomma, suonavamo e cantavamo per conto di tutti.
A fine concerto, un sacco di persone presenti che non ci avevano ovviamente mai sentiti ci hanno fatto i complimenti, sinceri e non dovuti, così come tanti i complimenti anche dai componenti di altre band che si sono esibite.
Ero fiducioso sulla nostra accoglienza, ma la reazione è andata aldilà delle più ottimistiche aspettative.
Merito dei musicisti della band che hanno acquisito l'attitudine perfetta per i nostri generi musicali, con vero entusiasmo.
Il ringraziamento particolare al nostro manager Francesco Venuto che ha organizzato la trasferta ottimizzando al meglio e super mega ringraziamento al mio storico amico mod Andrea Napoli e a suo fratello Marco che ci hanno ospitati, sfamati, accompagnati e hanno collaborato sul palco e in tutta la logistica: senza di loro, credetemi assolutamente, non saremmo potuti andare a suonare al Mods Mayday 2025.
Grazie di cuore ai Napoli Brothers.
Sono riuscito a sentire almeno un po' brani di quasi tutte le altre band.
E vado in ordine sparso nel commentare tutte esibizioni di altissimo livello, a partire da Mark McGounden che mi ha "colpito" con una versione eccellente di "The girl that touch my soul" dei Makin'Time, fino alla bellissima "Step in back" suonata dai Threads.
Piacevolissima sorpresa live i Block33 e conferma di trend di valore assoluto per i fratelli Meynell cioè gli Squire e per gli Small World, che hanno nella voce di Chris Philipott un vero fiore all'occhiello.
I Big Boss Man sono sempre stati molto originali nei ritmi e negli arrangiamenti e dal vivo sono una vera bomba.
I Chords Uk hanno una carica e precisione degna del loro primo lavoro su disco di 45 anni fa', giusta la scelta di far iniziare loro, cioè inizio col botto.
E "col botto" erano anche i due artisti che ha non proseguito il concerto in sala 1.
Prima Rhoda Dakar, che non è più la ragazzina delle spumeggianti Body Snatchers,ma una cantante dalla voce pazzesca, carisma totale e una band superlativa.
Dopo di lei i più giovani cioè gli Sharp Class, che sono ulteriormente migliorati dallo scorso anno.
Un suono compatto, preciso e travolgente, una voce intonata da sembrare su disco, una professionalità e una tecnica che farà sicuramente di loro una delle migliori nuove band britanniche, anche al di fuori della scena mod.
Non ho sentito i New Street Adventure perché sono andato in sala 3 a sentire il dibattito condotto da Eddie Piller con Ian Page e dave Cairns, con tutti i posti esauriti e molto interesse e domande da parte del pubblico.
Ammetto che ho capito molto poco, purtroppo l'inglese non l'ho imparato (mia grossa lacuna), ma mi piaceva l'atmosfera e l'abilità e la competenza di Piller nel stimolare e raccontare di musica emerge comunque così l'evidente valore della storia e del significato di Ian & Dave e dei Secret Affair.
Tornavo in sala ad ascoltare i Purple Hearts, sempre più spumeggianti e carichi col passare degli anni, i loro brani sono dei veri gioielli del power pop ed è sempre un vero piacere ascoltarli.
Poi il concerto dei Secret Affair, che per me non è un concerto ma un vero e proprio rito e atto di fede musicale e ideologica della mia vita mod.
Non deludono mai.
Questa volta una scaletta fulminante con i brani dell'album "Glory Boys" suonati e cantati alla grande con quella maestria e credibilità che fa di loro la quintessenza dei musicisti mod, sia in senso storico che artistico.
Oltre ai brani del primo disco anche il capolavoro "One day in your life" e naturalmente una commovente "My world", brano talmente bello e importante che noi usiamo come sigla dei nostri concerti quando saliamo sul palco (ovviamente non lo abbiamo fatto al Mayday..).
Mentre risuonavano le ultime note della loro performance, noi ci spostavamo nell'altra sala per montare il nostro palco e in attesa della chitarra, del basso e della tastiera che la band ci ha gentilmente prestato e poi... si torna all'inizio di questo reportage.
Voglio ringraziare Adrian Gibson AGMP per averci invitati e averci dato questa grande opportunità e soddisfazione, Dave Cairns, Andrew Gilbert, Gary Walsh, Edwin Pearson dei Secret Affair per la disponibilità, Adam Cooper della Heavy Soul per la compilation e l'amico David Edwards per l'accoglienza, la presentazione e il supporto (ci rivediamo al raduno Mod Italiano a Cattolica il 26 e 27 settembre).
E adesso andiamo avanti nella solita e unica giusta direzione, cioè quella del Modernismo.
Come diceva il grande Demetrio dei Four By Art ?...
"E' bello essere mod".
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.
Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/
Prossime presentazioni:
Giovedì 5 giugno:
San Nicolò (Piacenza)
Biblioteca Comunale ore 21
Venerdì 27 giugno:
Fano
Passaggi Festival
giovedì, maggio 29, 2025
Dave Davies - A Hole in the Sock of Dave Davies / The Album That Never Was
DAVE DAVIES è, volenti o nolenti, sempre vissuto all'ombra artistica del fratello Ray.
Con una sorta di azzardato paragone un po' come il LennonMcCartney/Ray e il George Harrison/Dave.
Nel 1967 fu pianificato un suo album solista, idea a cui aderì senza troppo entusiasmo (a sua disposizione una manciata di brani, qualche cover blues e poco altro).
Fu pubblicato il primo singolo "Death Of A Clown" (suonato insieme ai Kinks, composto con l'aiuto di Ray) e inaspettatamente arrivò al terzo posto delle charts.
Ci riprovò allora con altri tre brani "Susannah's Still Alive", "Lincoln County" e "Hold My Hand" ma con scarsi risultati di classifica.
L'album non andò mai in porto e molti brani finirono nei dischi (o nelle B sides) dei Kinks.
L'album perduto fu pubblicato nel 1987, con il titolo "The Album That Never Was" o "A Hole in the Sock of (Dave Davies)", assemblando i brani che avrebbero potuto farne parte.
Ne risulta un lavoro di ottimo livello compositivo e qualitativo.
Dal 1980 in poi Dave Davies ha pubblicato una dozzina di album, tra prove soliste, collaborazioni, una colonna sonora.
Materiale sempre sopra la sufficienza, prevalentemente in chiave hard rock, mai di particolare valore.
In "I Will Be Me" troviamo ad aiutarlo Anti Flag, Jayhawks, Ty Segall, Chris Spedding ma con poco successo creativo.
Forse il meglio lo concede in "Rippin' Up Time" del 2014.
Da segnalare anche una sua, buona, versione di "My Generation" in un album tributo agli Who, "Who are You", del 2023 con Knox dei Vibrators e Rat Scabies dei Damned.
https://www.youtube.com/watch?v=E2RKl6nUImM&t=21s
Con una sorta di azzardato paragone un po' come il LennonMcCartney/Ray e il George Harrison/Dave.
Nel 1967 fu pianificato un suo album solista, idea a cui aderì senza troppo entusiasmo (a sua disposizione una manciata di brani, qualche cover blues e poco altro).
Fu pubblicato il primo singolo "Death Of A Clown" (suonato insieme ai Kinks, composto con l'aiuto di Ray) e inaspettatamente arrivò al terzo posto delle charts.
Ci riprovò allora con altri tre brani "Susannah's Still Alive", "Lincoln County" e "Hold My Hand" ma con scarsi risultati di classifica.
L'album non andò mai in porto e molti brani finirono nei dischi (o nelle B sides) dei Kinks.
L'album perduto fu pubblicato nel 1987, con il titolo "The Album That Never Was" o "A Hole in the Sock of (Dave Davies)", assemblando i brani che avrebbero potuto farne parte.
Ne risulta un lavoro di ottimo livello compositivo e qualitativo.
Dal 1980 in poi Dave Davies ha pubblicato una dozzina di album, tra prove soliste, collaborazioni, una colonna sonora.
Materiale sempre sopra la sufficienza, prevalentemente in chiave hard rock, mai di particolare valore.
In "I Will Be Me" troviamo ad aiutarlo Anti Flag, Jayhawks, Ty Segall, Chris Spedding ma con poco successo creativo.
Forse il meglio lo concede in "Rippin' Up Time" del 2014.
Da segnalare anche una sua, buona, versione di "My Generation" in un album tributo agli Who, "Who are You", del 2023 con Knox dei Vibrators e Rat Scabies dei Damned.
https://www.youtube.com/watch?v=E2RKl6nUImM&t=21s
mercoledì, maggio 28, 2025
Identità sul dancefloor Northern Soul di Nicola Watchman Smith
Il recente video che accompagna il ritorno dei Pulp "Got To Have Love" (https://www.youtube.com/watch?v=c_xnLmRz6XM), incentrato su immagini dalle serate Northern Soul degli anni 70, mi ha indotto a riprendere un capitolo del mio libro "Northern Soul" pubblicato nel 2022 da Agenzia X.
Estratti dalla 14° conferenza del giugno 2007 a Città del Messico dell'Associazione Internazionale per lo studio della musica popolare.
Identità sul dancefloor Northern Soul
di Nicola Watchman Smith
Preside presso il Newcastle College University Centre, docente senior di sociologia presso la John Moores University di Liverpool e direttore del programma Humanities e docente senior in sociologia e media contemporanei presso la Cardiff Metropolitan University.
Attualmente divide la sua attività di ricerca tra lo studio delle culture musicali e l'impegno nell'istruzione superiore.
La danza è spesso considerata una pratica femminile.
Di conseguenza sostengo che la pista da ballo è spesso posizionata come una zona femminile.
Tuttavia, all'interno della scena Northern Soul, la danza è eseguita da maschi britannici bianchi, della classe operaia ed eterosessuali. Tale danza non è simile agli stili rock/punk di pogo o mosh né all'uso in coppia della danza come corteggiamento.
Il Northern Soul offre un esempio di come il maschile può essere rappresentato all'interno di uno stile di danza popolare controllato, autodidatta ed espressivo (se non spontaneo).
Il dancefloor del Northern Soul è uno spazio in cui esibirsi attraverso la rappresentazione, l'abbellimento e, probabilmente, la sfida delle modalità di associazione di genere.
In questo articolo si sostiene che i ballerini del Northern Soul, maschi eterosessuali, tentano di alterare lo spazio femminile della pista da ballo esagerando le qualità maschili stereotipate nella danza, situando così la pista da ballo del Northern Soul come un accettabile spazio maschile.
La sfida alla femminilità tradizionale di questo spazio e il presunto raggiungimento del dominio maschile di questa pista da ballo consente la creazione, la performance e il mantenimento dell'identità maschile.
Le domande su come la danzatrice risponde a questo presunto dominio maschile sono discusse anche in relazione all'identità femminile Northern Soul e alla sua presenza fisica e performance sulla pista da ballo.
Questo articolo esamina il potenziale e i metodi per risolvere le richieste contraddittorie della pista da ballo come spazio per esibirsi, abbracciare il genere e dimostrare impegno per la scena Northern Soul attraverso la danza.
Il Northern Soul è prevalentemente una cultura del ballo.
Lo stile unico del ballo acrobatico è considerato una, se non la, caratteristica più identificabile della scena, soprattutto perché la musica è in gran parte sconosciuta a coloro che ne sono al di fuori e perché lo stile generale della musica è molto simile alla Motown e più genericamente al soul degli anni Sessanta. Il Northern Soul è una variante veloce di tale musica soul.
L'up-tempo detta una distinzione della modalità musicale, ma ha anche portato alla formazione di uno stile di danza abbastanza diverso dal modo in cui la generica musica soul sarebbe (è) ballata.
Si prega di notare che gli standard come lo shuffle, simile al ballo dei mod e alla danza R&B, che sono evidenti nel Northern Soul qui si verificano insieme ai tratti estremi della danza come backflop, rotazioni e varianti sul lavoro a terra che sembrano simili alla break-dance per esempio ruotando sul posto in posizione accovacciata. Due cose dovrebbero essere chiarite sugli stili acrobatici estremi del ballo Northern Soul. Innanzitutto, sebbene tali acrobazie siano considerate stereotipi del Northern Soul, non sono l'unico metodo di danza e non vengono utilizzati continuamente durante una singola sessione di ballo.
Intendo per sessione di ballo la lunghezza di un brano. Questo perché i fan del Northern Soul (i soulies ) scelgono di rimanere in pista quando hanno ascoltato le prime note di una canzone e non rimangono continuamente sulla pista da ballo ma selezionano le canzoni su cui ballare. In secondo luogo, poiché gli attuali partecipanti sono invecchiati, la loro capacità di danze più acrobatiche e sostenute è diminuita (ma non si è in alcun modo estinta). Detto questo, bisogna rendersi conto che mentre spiego che gli stili di danza sono cambiati nel tempo, è anche il caso che l'arrivo di nuove varianti di danza dalla rinascita della scena degli anni '90 sia stato limitato (inesistente, forse).
I giovani esordienti eseguono quindi una versione retrò della danza Northern Soul, di solito del periodo di massimo splendore degli anni '70; i fan esistenti si attengono alla variante di danza con cui hanno più familiarità, sia come metodo per mostrare l'esperienza (il modo di ballare indica il periodo in cui ti sei unito alla scena), sia per esibirti in modo competitivo, che significa proporti al meglio affinché i partecipanti si attengano a ciò che sanno, anche se non possono esibirsi come una volta.
Il ballo è tradizionalmente un passatempo femminile.
La pista da ballo di cui parlo è quindi concepita come una zona femminile, un luogo in cui le donne si sentono a loro agio, competenti e familiari: sono felici, preparate e, in molti modi, attese per la loro esibizione.
Considerando i club working class degli anni '70, uno spazio non dissimile dalla scena Northern Soul del nord inglese, operaia, bianca, eterosessuale: gli uomini occupano il bar, le donne la pista da ballo.
Quando gli uomini ballano, lo fanno dopo aver bevuto un drink e per attirare le donne su cui hanno puntato gli occhi. Un argomento simile arriva dalla scena rave: uomini bianchi ed eterosessuali ballano dopo aver preso l'ecstasy. Presumibilmente il rave è stato il primo esempio di uomini bianchi ed etero della classe operaia che sono entrati nella pista da ballo senza l'obiettivo del corteggiamento, ma il Northern Soul lo faceva più di un decennio prima.
Allora cosa faceva ballare gli uomini del Northern Soul?
Certo, prendevano un sacco di anfetamine, ma probabilmente l'uso di droghe ha funzionato per mantenere gli uomini sulla pista da ballo per non iniziarli alla danza come è successo con il connubio di rave ed ecstasy.
Io paragono il desiderio di ballare con il desiderio di autenticità nel Northern Soul. Proprio come i membri della scena volevano avere dischi che mostrassero la conoscenza dell'America nera degli anni '60, così facevano con il ballo. Ma questo non era il caso dei fan del Northern Soul che semplicemente copiavano gli stili di ballo del black soul (i dischi Northern erano troppo veloci per questo, un tale tempo indicava il desiderio di essere distinti dagli standard precedenti). Detto questo, l'autenticità del Northern Soul è conoscere la storia del patrimonio musicale che la scena, attraverso rituali unici di appartenenza, ha distorto. I soulies dovevano ballare perché è quello che hai fatto con il soul (R&B, musica mod).
Ma volevano la loro scena, quindi la danza doveva essere unica, da qui le acrobazie. Ok, quindi i soulies stavano ballando. Ma come affrontano l'occupazione del dancefloor femminile?
Ritengo che i ballerini maschi abbiano mascolinizzato la danza nel Northern Soul, mostrando così allo stesso tempo autenticità (ballando) mentre superano il problema dello spazio di genere (rendendo maschile il dancefloor attraverso lo stile della danza).
Il Northern Soul è uno stile di danza solista.
È quindi, a causa dell'assenza di contatto fisico con qualsiasi altra persona sulla pista da ballo, abbastanza lontano dall'idea che la danza sia corteggiamento.
Detto questo, lo status raggiunto ballando bene, un concetto fondamentale nel Northern Soul, è potenzialmente una forma di acquisizione di interesse da potenziali partner sessuali.
Il ballo da solista rimuove il corteggiamento sulla pista, ma consente una postura da pavone tramite la danza. Il fatto che i ballerini abbiano il loro spazio in cui esibirsi nella loro unicità consente a tali balli di avere come spettatori altri soulies. Nel rave la danza è mascherata all'interno di un fiorente corpo di unità, tutti i ballerini si muovono come un corpo unico al ritmo del DJ. Nel Northern Soul la scelta di ballare, la perfezione degli stili di danza, la considerazione e il controllo di ogni passo di danza, la consapevolezza di essere in mostra ai tuoi coetanei (non nascosto tra i tanti) e il fatto che il tuo status sulla scena sarà giudicato, alterato e potenzialmente creato o perso a causa della risposta che la tua esibizione ottiene dai tuoi coetanei spettatori significa che il ballo Northern Soul è competitivo.
Il ballo Northern Soul è autodidatta, praticato, specifico per scena ed epoca, espressivo ma solo spontaneo entro i confini delle regole della scena.
Il fatto che la partecipazione al ballo dichiari un serio coinvolgimento, erode ogni ipotesi che i maschi portano in pista sia una spensierata espressione di frivolezza. Questa serietà nel mostarsi complica ulteriormente l'uso maschile dello spazio femminile. Il ballo Northern Soul è ritmico, emotivo, appassionato, colto e soprattutto serio: non si tratta semplicemente di saltare con la musica come mosh e pogo come fanno i maschi punk e rock sulle loro piste da ballo. Quindi quali metodi usano i ballerini del Northern Soul per mascolinizzare lo spazio della pista da ballo?
In parole povere, quelli che possiedono attributi maschili stereotipati.
Va sottolineato che tali attributi non sono vuoti per le donne o essenziali per gli uomini, ma sono coinvolti nei discorsi su cosa sia la scena del Northern Soul.
Uno: la competizione: come sottolineato sopra la competizione è centrale. L'atto di essere i migliori è dimostrato attraverso “lo spettacolo di danza del pavone” proprio come i negozianti mostrano i loro dischi in modo competitivo, gli intenditori raccontano le loro competenze in modo competitivo, i DJ mostrano collezioni e propongono la loro musica in modo competitivo sul dancefloor agli altri DJ. Non si tratta solo di essere i migliori, ma di recitare l'appartenenza alla scena con convinzione e nel rispetto dell'autenticità della scena (per le regole dell'appartenenza).
Due: i passi di danza e la durata del tempo trascorso a ballare tutta la notte e tutto il giorno (alcuni uno dietro l'altro) sono immensi.
In quanto tale, la forza e la resistenza impiegate nella danza Northern Soul appartengono alla mascolinità. Tre: relativo alla forza e alla resistenza, è l'esibizione della fisicità.
Le acrobazie del Northern Soul richiedono competenza, abilità, forza e inducono sudorazione. Il cambio di vestiti e l'uso del deodorante per tutta la notte era un aspetto essenziale del rituale della scena, indicativo della fisicità della danza. Tale fisicità porta a uno spettacolo di danza un po' crudo (ma non animalesco in quanto lontano dall'abbandono edonistico, sempre controllato). Il quarto elemento della mascolinizzazione era l'assorbimento delle arti marziali negli stili di danza. Probabilmente un altro metodo per definire il Northern Soul come distinto dagli stili di ballo soul, mod e R&B che lo hanno preceduto, è che lo stile ispirato alle arti marziali produce il Northern Soul come unico e in linea con le tendenze del Regno Unito degli anni Settanta, una forma di danza mascolinizzata. Il film Enter the Dragon (I tre dell'operazione drago di Robert Clouse con Bruce Lee) nel 1973 entra nei cinema e introduce un pubblico occidentale alle arti marziali e all'esibizione controllata e maschile dell'individualità – non macho, ma incarnando una virilità solista (il piccolo uomo reso potente).
Che dire delle ballerine di Northern Soul?
Teorici del rave posizionano la club culture come un metodo per le donne per scappare di casa, per liberarsi dal mercato del bestiame ipersessualizzato del pun e del club e quindi consentire alle donne di sentirsi sicure, a proprio agio e quindi sperimentare la libertà di essere se stesse al di là dello sguardio del maschio. Questi sono gli anni Novanta.
Tuttavia, il Northern Soul si è sviluppato due decenni prima del rave, quindi questa analisi del rave è rilevante per il Northern Soul? Se è così, implica che le donne durante le serate Northern Soul fossero limitate dallo stereotipo di genere e dallo sguardo maschile. È vero? Ed è questo che volevano le donne? Quello è un campo minato. Il Northern Soul è orgoglioso di essere una scena unica, separata dalle varianti statiche e mainstream di disco, pub e club nell'Inghilterra degli anni Settanta.
Tuttavia, il Northern Soul è prevalentemente una scena maschile, in termini di presenza maschile sulla pista da ballo, il tutto ampiamente documentato tramite TV, radio, DJ, siti Web, fanzine, riviste, tutte prodotte prevalentemente da uomini. Inoltre il collezionismo di dischi è un'attività maschile. Se il Northern Soul non è altro che una scena dance è anche una scena da collezione di dischi. Ma le donne celebrano la scena, hanno perseverato insieme e all'interno di essa come le loro controparti maschili e hanno continuato a ballare. Ciò su cui sto indagando è il ruolo della danza come ricerca di genere. In che misura la pista da ballo è uno spazio femminile, perché allora gli uomini ballano il Northern Soul, come hanno superato la femminilizzazione dello spazio della pista da ballo per raggiungere il predominio maschile enella scena e, in definitiva, sono le donne a ballare per un motivo diverso? La danza femminile è diversa nel Northern Soul? Ballare è un passatempo femminile, una fantasia di cambiamento, fuga e successo per ragazze e giovani donne che altrimenti sarebbero circondate da opportunità di svago molto più banali e limitanti.
Cultura privata della femminilità che si svolge fuori dallo sguardo preoccupato dei guardiani morali e dentro lo spazio protetto della casa. Poiché i ragazzi nelle sottoculture giovanili sono stati più vicini alla musica in senso tecnico, così sono stati anche più vicini alla danza.
Il problema è che si pone un modello statico e sessualmente diviso che di fatto non riflette il coinvolgimento attivo di ragazze e ragazzi nella danza e nelle diverse culture dei club.
Storicamente la routine era dominata dagli uomini che sceglievano le ragazze (le più belle) con cui ballare.
Se un maschio non sceglieva una femmina, lei non ballava.
Le ragazze sono riuscite progressivamente a evitare questi rituali facendo nella discoteca la loro attività da sole, non si sentivano a disagio nel ballare, né avevano bisogno di adottare le loro strategie difensive più usuali.
In effetti questa è stata l'unica occasione in cui tutte le barriere sono state abbattute. Le ragazze erano immerse in quella che era un'attività assolutamente piacevole.
Il Northern Soul per le donne tende ad essere più femminile: vortici, giri (che, con le gonne lunghe e larghe mostrano le mutande) alcuni calci ma una notevole assenza di backflop, lavori a terra e altre acrobazie.
Nel Northern Soul ballare è l'obiettivo primario, come mi hanno più volte detto gli intervistati – uomini e donne – lo scopo di partecipare agli eventi è ballare. Per trovare un appuntamento si va in altri tipi di club e discoteche, agli All Nighters non hai altre distrazioni se non nei dischi.
Sto sostenendo che la pista da ballo è sempre stata uno spazio per le donne. Quindi le donne nel Northern Soul sono sotto lo sguardo maschile? E se sì, perché si sentono a loro agio?
A questa complicata domanda propongo che le ballerine siano consapevoli che l'attenzione sessuale non è lo scopo di partecipare agli eventi proprio come le ravers hanno realizzato decenni dopo. Inoltre il Northern Soul ha il discorso dello spettatore. Essere guardati è attraente; è un percorso verso l'appartenenza e, successivamente, verso lo stato di rilevanza paritaria. Se balli bene sei un eletto ma questo succede solo se le persone possono assistere alla tua esibizione.
Ma, come mi ha spiegato una delle mie intervistate, Susan, le donne, sebbene in grado di eguagliare le acrobazie degli uomini, non desiderano ballare in quel modo.
Le donne hanno la capacità, ma sono disinteressate alle esibizioni competitive.
Sono ugualmente in primo piano ma meno rispetto alle modalità maschili.
Le donne ballano per piacere.
È una conclusione debole? No, le donne si sentono a loro agio con lo spazio, sono sicure nella consapevolezza che ballano bene e, quando la fantasia le prende, si esibiscono nel ballo in modo competitivo (vincendo gare di ballo per esempio) e non hanno nulla da dimostrare sul fatto di essere sulla pista da ballo - gli uomini pensano di sì.
Le donne non collezionano dischi né ballano costantemente in modo competitivo, le donne non sono competitive?
La mia risposta è che nel caso del Northern Soul non è necessario che lo siano. Le donne hanno espressione di sé e piacere di sé: una sensazione autoerotica sulla pista da ballo. Un piacere sessuale incentrato su se stesse.
La sensualità della danza non è così evidente nel Northern Soul come forse nel rave, forse a causa della mancanza di spontaneità e della rigorosa esibizione solista. Detto questo però il potenziale narcisistico della danza è evidente nell'essere bravi a ballare e nell'essere “in mostra”. Sebbene essere un oggetto negli occhi di qualcun altro è problematico, una tale esibizione per gli altri è attraente per molte ballerine. Se le donne si sentono al sicuro sulla pista da ballo e hanno un'idea di chi le sta guardando, allora essere guardate è piacevole.
Il discorso non sessualizzato nel Northern Soul lo permette.
Essere guardati non ha nulla a che fare con l'essere presi in braccio, o dove questo potrebbe portare, ma un'opportunità per essere un sé più sessualizzato o la possibilità di interpretare un modo più affascinante di femminilità.
Per le raver la danza era “mettersi in scena per se stessa” e il “piacere di potersi esibire”. Il ballo nel rave, e sostengo anche nel Northern Soul, è per le donne essere viste e quindi sperimentare se stesse sotto una luce diversa.
A questo aggiungo che non si tratta solo di mostrarsi, ma di avere fiducia in quello spettacolo, quindi sentirsi competenti sulla pista da ballo è una ricerca tanto femminile quanto maschile.
Ma nel Northern Soul il maschio è competitivo, la femmina a suo agio come conseguenza dell'associazione con lo spazio della pista da ballo.
Identità sul dancefloor Northern Soul
di Nicola Watchman Smith
Preside presso il Newcastle College University Centre, docente senior di sociologia presso la John Moores University di Liverpool e direttore del programma Humanities e docente senior in sociologia e media contemporanei presso la Cardiff Metropolitan University.
Attualmente divide la sua attività di ricerca tra lo studio delle culture musicali e l'impegno nell'istruzione superiore.
La danza è spesso considerata una pratica femminile.
Di conseguenza sostengo che la pista da ballo è spesso posizionata come una zona femminile.
Tuttavia, all'interno della scena Northern Soul, la danza è eseguita da maschi britannici bianchi, della classe operaia ed eterosessuali. Tale danza non è simile agli stili rock/punk di pogo o mosh né all'uso in coppia della danza come corteggiamento.
Il Northern Soul offre un esempio di come il maschile può essere rappresentato all'interno di uno stile di danza popolare controllato, autodidatta ed espressivo (se non spontaneo).
Il dancefloor del Northern Soul è uno spazio in cui esibirsi attraverso la rappresentazione, l'abbellimento e, probabilmente, la sfida delle modalità di associazione di genere.
In questo articolo si sostiene che i ballerini del Northern Soul, maschi eterosessuali, tentano di alterare lo spazio femminile della pista da ballo esagerando le qualità maschili stereotipate nella danza, situando così la pista da ballo del Northern Soul come un accettabile spazio maschile.
La sfida alla femminilità tradizionale di questo spazio e il presunto raggiungimento del dominio maschile di questa pista da ballo consente la creazione, la performance e il mantenimento dell'identità maschile.
Le domande su come la danzatrice risponde a questo presunto dominio maschile sono discusse anche in relazione all'identità femminile Northern Soul e alla sua presenza fisica e performance sulla pista da ballo.
Questo articolo esamina il potenziale e i metodi per risolvere le richieste contraddittorie della pista da ballo come spazio per esibirsi, abbracciare il genere e dimostrare impegno per la scena Northern Soul attraverso la danza.
Il Northern Soul è prevalentemente una cultura del ballo.
Lo stile unico del ballo acrobatico è considerato una, se non la, caratteristica più identificabile della scena, soprattutto perché la musica è in gran parte sconosciuta a coloro che ne sono al di fuori e perché lo stile generale della musica è molto simile alla Motown e più genericamente al soul degli anni Sessanta. Il Northern Soul è una variante veloce di tale musica soul.
L'up-tempo detta una distinzione della modalità musicale, ma ha anche portato alla formazione di uno stile di danza abbastanza diverso dal modo in cui la generica musica soul sarebbe (è) ballata.
Si prega di notare che gli standard come lo shuffle, simile al ballo dei mod e alla danza R&B, che sono evidenti nel Northern Soul qui si verificano insieme ai tratti estremi della danza come backflop, rotazioni e varianti sul lavoro a terra che sembrano simili alla break-dance per esempio ruotando sul posto in posizione accovacciata. Due cose dovrebbero essere chiarite sugli stili acrobatici estremi del ballo Northern Soul. Innanzitutto, sebbene tali acrobazie siano considerate stereotipi del Northern Soul, non sono l'unico metodo di danza e non vengono utilizzati continuamente durante una singola sessione di ballo.
Intendo per sessione di ballo la lunghezza di un brano. Questo perché i fan del Northern Soul (i soulies ) scelgono di rimanere in pista quando hanno ascoltato le prime note di una canzone e non rimangono continuamente sulla pista da ballo ma selezionano le canzoni su cui ballare. In secondo luogo, poiché gli attuali partecipanti sono invecchiati, la loro capacità di danze più acrobatiche e sostenute è diminuita (ma non si è in alcun modo estinta). Detto questo, bisogna rendersi conto che mentre spiego che gli stili di danza sono cambiati nel tempo, è anche il caso che l'arrivo di nuove varianti di danza dalla rinascita della scena degli anni '90 sia stato limitato (inesistente, forse).
I giovani esordienti eseguono quindi una versione retrò della danza Northern Soul, di solito del periodo di massimo splendore degli anni '70; i fan esistenti si attengono alla variante di danza con cui hanno più familiarità, sia come metodo per mostrare l'esperienza (il modo di ballare indica il periodo in cui ti sei unito alla scena), sia per esibirti in modo competitivo, che significa proporti al meglio affinché i partecipanti si attengano a ciò che sanno, anche se non possono esibirsi come una volta.
Il ballo è tradizionalmente un passatempo femminile.
La pista da ballo di cui parlo è quindi concepita come una zona femminile, un luogo in cui le donne si sentono a loro agio, competenti e familiari: sono felici, preparate e, in molti modi, attese per la loro esibizione.
Considerando i club working class degli anni '70, uno spazio non dissimile dalla scena Northern Soul del nord inglese, operaia, bianca, eterosessuale: gli uomini occupano il bar, le donne la pista da ballo.
Quando gli uomini ballano, lo fanno dopo aver bevuto un drink e per attirare le donne su cui hanno puntato gli occhi. Un argomento simile arriva dalla scena rave: uomini bianchi ed eterosessuali ballano dopo aver preso l'ecstasy. Presumibilmente il rave è stato il primo esempio di uomini bianchi ed etero della classe operaia che sono entrati nella pista da ballo senza l'obiettivo del corteggiamento, ma il Northern Soul lo faceva più di un decennio prima.
Allora cosa faceva ballare gli uomini del Northern Soul?
Certo, prendevano un sacco di anfetamine, ma probabilmente l'uso di droghe ha funzionato per mantenere gli uomini sulla pista da ballo per non iniziarli alla danza come è successo con il connubio di rave ed ecstasy.
Io paragono il desiderio di ballare con il desiderio di autenticità nel Northern Soul. Proprio come i membri della scena volevano avere dischi che mostrassero la conoscenza dell'America nera degli anni '60, così facevano con il ballo. Ma questo non era il caso dei fan del Northern Soul che semplicemente copiavano gli stili di ballo del black soul (i dischi Northern erano troppo veloci per questo, un tale tempo indicava il desiderio di essere distinti dagli standard precedenti). Detto questo, l'autenticità del Northern Soul è conoscere la storia del patrimonio musicale che la scena, attraverso rituali unici di appartenenza, ha distorto. I soulies dovevano ballare perché è quello che hai fatto con il soul (R&B, musica mod).
Ma volevano la loro scena, quindi la danza doveva essere unica, da qui le acrobazie. Ok, quindi i soulies stavano ballando. Ma come affrontano l'occupazione del dancefloor femminile?
Ritengo che i ballerini maschi abbiano mascolinizzato la danza nel Northern Soul, mostrando così allo stesso tempo autenticità (ballando) mentre superano il problema dello spazio di genere (rendendo maschile il dancefloor attraverso lo stile della danza).
Il Northern Soul è uno stile di danza solista.
È quindi, a causa dell'assenza di contatto fisico con qualsiasi altra persona sulla pista da ballo, abbastanza lontano dall'idea che la danza sia corteggiamento.
Detto questo, lo status raggiunto ballando bene, un concetto fondamentale nel Northern Soul, è potenzialmente una forma di acquisizione di interesse da potenziali partner sessuali.
Il ballo da solista rimuove il corteggiamento sulla pista, ma consente una postura da pavone tramite la danza. Il fatto che i ballerini abbiano il loro spazio in cui esibirsi nella loro unicità consente a tali balli di avere come spettatori altri soulies. Nel rave la danza è mascherata all'interno di un fiorente corpo di unità, tutti i ballerini si muovono come un corpo unico al ritmo del DJ. Nel Northern Soul la scelta di ballare, la perfezione degli stili di danza, la considerazione e il controllo di ogni passo di danza, la consapevolezza di essere in mostra ai tuoi coetanei (non nascosto tra i tanti) e il fatto che il tuo status sulla scena sarà giudicato, alterato e potenzialmente creato o perso a causa della risposta che la tua esibizione ottiene dai tuoi coetanei spettatori significa che il ballo Northern Soul è competitivo.
Il ballo Northern Soul è autodidatta, praticato, specifico per scena ed epoca, espressivo ma solo spontaneo entro i confini delle regole della scena.
Il fatto che la partecipazione al ballo dichiari un serio coinvolgimento, erode ogni ipotesi che i maschi portano in pista sia una spensierata espressione di frivolezza. Questa serietà nel mostarsi complica ulteriormente l'uso maschile dello spazio femminile. Il ballo Northern Soul è ritmico, emotivo, appassionato, colto e soprattutto serio: non si tratta semplicemente di saltare con la musica come mosh e pogo come fanno i maschi punk e rock sulle loro piste da ballo. Quindi quali metodi usano i ballerini del Northern Soul per mascolinizzare lo spazio della pista da ballo?
In parole povere, quelli che possiedono attributi maschili stereotipati.
Va sottolineato che tali attributi non sono vuoti per le donne o essenziali per gli uomini, ma sono coinvolti nei discorsi su cosa sia la scena del Northern Soul.
Uno: la competizione: come sottolineato sopra la competizione è centrale. L'atto di essere i migliori è dimostrato attraverso “lo spettacolo di danza del pavone” proprio come i negozianti mostrano i loro dischi in modo competitivo, gli intenditori raccontano le loro competenze in modo competitivo, i DJ mostrano collezioni e propongono la loro musica in modo competitivo sul dancefloor agli altri DJ. Non si tratta solo di essere i migliori, ma di recitare l'appartenenza alla scena con convinzione e nel rispetto dell'autenticità della scena (per le regole dell'appartenenza).
Due: i passi di danza e la durata del tempo trascorso a ballare tutta la notte e tutto il giorno (alcuni uno dietro l'altro) sono immensi.
In quanto tale, la forza e la resistenza impiegate nella danza Northern Soul appartengono alla mascolinità. Tre: relativo alla forza e alla resistenza, è l'esibizione della fisicità.
Le acrobazie del Northern Soul richiedono competenza, abilità, forza e inducono sudorazione. Il cambio di vestiti e l'uso del deodorante per tutta la notte era un aspetto essenziale del rituale della scena, indicativo della fisicità della danza. Tale fisicità porta a uno spettacolo di danza un po' crudo (ma non animalesco in quanto lontano dall'abbandono edonistico, sempre controllato). Il quarto elemento della mascolinizzazione era l'assorbimento delle arti marziali negli stili di danza. Probabilmente un altro metodo per definire il Northern Soul come distinto dagli stili di ballo soul, mod e R&B che lo hanno preceduto, è che lo stile ispirato alle arti marziali produce il Northern Soul come unico e in linea con le tendenze del Regno Unito degli anni Settanta, una forma di danza mascolinizzata. Il film Enter the Dragon (I tre dell'operazione drago di Robert Clouse con Bruce Lee) nel 1973 entra nei cinema e introduce un pubblico occidentale alle arti marziali e all'esibizione controllata e maschile dell'individualità – non macho, ma incarnando una virilità solista (il piccolo uomo reso potente).
Che dire delle ballerine di Northern Soul?
Teorici del rave posizionano la club culture come un metodo per le donne per scappare di casa, per liberarsi dal mercato del bestiame ipersessualizzato del pun e del club e quindi consentire alle donne di sentirsi sicure, a proprio agio e quindi sperimentare la libertà di essere se stesse al di là dello sguardio del maschio. Questi sono gli anni Novanta.
Tuttavia, il Northern Soul si è sviluppato due decenni prima del rave, quindi questa analisi del rave è rilevante per il Northern Soul? Se è così, implica che le donne durante le serate Northern Soul fossero limitate dallo stereotipo di genere e dallo sguardo maschile. È vero? Ed è questo che volevano le donne? Quello è un campo minato. Il Northern Soul è orgoglioso di essere una scena unica, separata dalle varianti statiche e mainstream di disco, pub e club nell'Inghilterra degli anni Settanta.
Tuttavia, il Northern Soul è prevalentemente una scena maschile, in termini di presenza maschile sulla pista da ballo, il tutto ampiamente documentato tramite TV, radio, DJ, siti Web, fanzine, riviste, tutte prodotte prevalentemente da uomini. Inoltre il collezionismo di dischi è un'attività maschile. Se il Northern Soul non è altro che una scena dance è anche una scena da collezione di dischi. Ma le donne celebrano la scena, hanno perseverato insieme e all'interno di essa come le loro controparti maschili e hanno continuato a ballare. Ciò su cui sto indagando è il ruolo della danza come ricerca di genere. In che misura la pista da ballo è uno spazio femminile, perché allora gli uomini ballano il Northern Soul, come hanno superato la femminilizzazione dello spazio della pista da ballo per raggiungere il predominio maschile enella scena e, in definitiva, sono le donne a ballare per un motivo diverso? La danza femminile è diversa nel Northern Soul? Ballare è un passatempo femminile, una fantasia di cambiamento, fuga e successo per ragazze e giovani donne che altrimenti sarebbero circondate da opportunità di svago molto più banali e limitanti.
Cultura privata della femminilità che si svolge fuori dallo sguardo preoccupato dei guardiani morali e dentro lo spazio protetto della casa. Poiché i ragazzi nelle sottoculture giovanili sono stati più vicini alla musica in senso tecnico, così sono stati anche più vicini alla danza.
Il problema è che si pone un modello statico e sessualmente diviso che di fatto non riflette il coinvolgimento attivo di ragazze e ragazzi nella danza e nelle diverse culture dei club.
Storicamente la routine era dominata dagli uomini che sceglievano le ragazze (le più belle) con cui ballare.
Se un maschio non sceglieva una femmina, lei non ballava.
Le ragazze sono riuscite progressivamente a evitare questi rituali facendo nella discoteca la loro attività da sole, non si sentivano a disagio nel ballare, né avevano bisogno di adottare le loro strategie difensive più usuali.
In effetti questa è stata l'unica occasione in cui tutte le barriere sono state abbattute. Le ragazze erano immerse in quella che era un'attività assolutamente piacevole.
Il Northern Soul per le donne tende ad essere più femminile: vortici, giri (che, con le gonne lunghe e larghe mostrano le mutande) alcuni calci ma una notevole assenza di backflop, lavori a terra e altre acrobazie.
Nel Northern Soul ballare è l'obiettivo primario, come mi hanno più volte detto gli intervistati – uomini e donne – lo scopo di partecipare agli eventi è ballare. Per trovare un appuntamento si va in altri tipi di club e discoteche, agli All Nighters non hai altre distrazioni se non nei dischi.
Sto sostenendo che la pista da ballo è sempre stata uno spazio per le donne. Quindi le donne nel Northern Soul sono sotto lo sguardo maschile? E se sì, perché si sentono a loro agio?
A questa complicata domanda propongo che le ballerine siano consapevoli che l'attenzione sessuale non è lo scopo di partecipare agli eventi proprio come le ravers hanno realizzato decenni dopo. Inoltre il Northern Soul ha il discorso dello spettatore. Essere guardati è attraente; è un percorso verso l'appartenenza e, successivamente, verso lo stato di rilevanza paritaria. Se balli bene sei un eletto ma questo succede solo se le persone possono assistere alla tua esibizione.
Ma, come mi ha spiegato una delle mie intervistate, Susan, le donne, sebbene in grado di eguagliare le acrobazie degli uomini, non desiderano ballare in quel modo.
Le donne hanno la capacità, ma sono disinteressate alle esibizioni competitive.
Sono ugualmente in primo piano ma meno rispetto alle modalità maschili.
Le donne ballano per piacere.
È una conclusione debole? No, le donne si sentono a loro agio con lo spazio, sono sicure nella consapevolezza che ballano bene e, quando la fantasia le prende, si esibiscono nel ballo in modo competitivo (vincendo gare di ballo per esempio) e non hanno nulla da dimostrare sul fatto di essere sulla pista da ballo - gli uomini pensano di sì.
Le donne non collezionano dischi né ballano costantemente in modo competitivo, le donne non sono competitive?
La mia risposta è che nel caso del Northern Soul non è necessario che lo siano. Le donne hanno espressione di sé e piacere di sé: una sensazione autoerotica sulla pista da ballo. Un piacere sessuale incentrato su se stesse.
La sensualità della danza non è così evidente nel Northern Soul come forse nel rave, forse a causa della mancanza di spontaneità e della rigorosa esibizione solista. Detto questo però il potenziale narcisistico della danza è evidente nell'essere bravi a ballare e nell'essere “in mostra”. Sebbene essere un oggetto negli occhi di qualcun altro è problematico, una tale esibizione per gli altri è attraente per molte ballerine. Se le donne si sentono al sicuro sulla pista da ballo e hanno un'idea di chi le sta guardando, allora essere guardate è piacevole.
Il discorso non sessualizzato nel Northern Soul lo permette.
Essere guardati non ha nulla a che fare con l'essere presi in braccio, o dove questo potrebbe portare, ma un'opportunità per essere un sé più sessualizzato o la possibilità di interpretare un modo più affascinante di femminilità.
Per le raver la danza era “mettersi in scena per se stessa” e il “piacere di potersi esibire”. Il ballo nel rave, e sostengo anche nel Northern Soul, è per le donne essere viste e quindi sperimentare se stesse sotto una luce diversa.
A questo aggiungo che non si tratta solo di mostrarsi, ma di avere fiducia in quello spettacolo, quindi sentirsi competenti sulla pista da ballo è una ricerca tanto femminile quanto maschile.
Ma nel Northern Soul il maschio è competitivo, la femmina a suo agio come conseguenza dell'associazione con lo spazio della pista da ballo.
martedì, maggio 27, 2025
The Countdown Records Story 1985-88
Poco prima di fondare la fortunata Acid Jazz Records, Eddie Piller ci provò con la Countdwon records per la quale incisero eccellenze come Makin' Time e Prisoners e nel 1985 pubblicò la seminale compilation "Countdown Compilation" con il meglio della nuova scena mod, successiva a quella del 1979,
Prisoners, Makin Time, Times, The Moment, Gents, Scene, Fast Eddie tra i tanti.
A 40 anni dalla prima uscita esce questa nuova raccolta in vinile (per l'Acid Jazz) con alcune di quelle band e altre aggiunte, in una sorta di "meglio" dell'etichetta.
La tracklist è invitante e l'ascolto ci conforta per la freschezza che mantiene quel sound e ci fa rammaricare di come molti di questi nomi, pur con così tanto talento, non abbiano fatto strada.
In contemporanea Terry Rawlings scrive la storia dell'etichetta.
Pump It Up – Makin’ Time
Whenever I’m Gone – The Prisoners
I Can’t Let Go – The Kick
Falling For You – Long Tall Shorty
Inside Out For Your Love – The Scene
I Don’t Need No Doctor – Fast Eddie
Guilty – The All-Jacks
The More That I Teach You – The Prisoners
Here Is My Number Baby – Makin’ Time
Dreams Come True – The Combine
Don’t Ever Change – The Ambassadors
Stuck On The Edge Of A Blade – The Kick
Ivor The Engine Driver – The Daggermen
A 40 anni dalla prima uscita esce questa nuova raccolta in vinile (per l'Acid Jazz) con alcune di quelle band e altre aggiunte, in una sorta di "meglio" dell'etichetta.
La tracklist è invitante e l'ascolto ci conforta per la freschezza che mantiene quel sound e ci fa rammaricare di come molti di questi nomi, pur con così tanto talento, non abbiano fatto strada.
In contemporanea Terry Rawlings scrive la storia dell'etichetta.
Pump It Up – Makin’ Time
Whenever I’m Gone – The Prisoners
I Can’t Let Go – The Kick
Falling For You – Long Tall Shorty
Inside Out For Your Love – The Scene
I Don’t Need No Doctor – Fast Eddie
Guilty – The All-Jacks
The More That I Teach You – The Prisoners
Here Is My Number Baby – Makin’ Time
Dreams Come True – The Combine
Don’t Ever Change – The Ambassadors
Stuck On The Edge Of A Blade – The Kick
Ivor The Engine Driver – The Daggermen
lunedì, maggio 26, 2025
Bruno Segalini - Fiamme e rock’n’roll. Romanzo veridico sullo sgombero del Leoncavallo, 1989
Ristampa di un romanzo/verità, tanto esalirante, quanto fedele all'accaduto nella notte tra il 15 e il 16 agosto 1989, quando la sede storica del Centro Sociale Leoncavallo venne sgombrata, con un enorme spiegamento di forze e subito dopo abbattuto.
La resistenza di un manipolo di occupanti si tinge in queste righe di aspetti tragicomici ma che mettono in rilievo il dramma di una città che incominciava/proseguiva la gentrificazione, l'omologazione, la "pulizia delle differenze", l'abbattimento di qualsivoglia forma di antagonismo.
Al centro della vicenda il tentativo di una band che provava nel centro (gli ottimi Pila Weston) di salvare e proteggere i propri strumenti lasciati in una sala.
Un'intervista a Primo Moroni suggella, alla perfezione, il contesto in cui si manifestò l'evento.
Divertente, potenziale perfetta sceneggiatura per un film, mette insieme lotta politica e commedia all'italiana.
Acre come un lacrimogeno, godibile come la gioventù di un ventenne.
Fiamme e rock’n’roll. Romanzo veridico sullo sgombero del Leoncavallo, 1989 Nuova Edizione Speciale 50° del Leonka
Shake Edizioni
190 pagine
20 euro
La resistenza di un manipolo di occupanti si tinge in queste righe di aspetti tragicomici ma che mettono in rilievo il dramma di una città che incominciava/proseguiva la gentrificazione, l'omologazione, la "pulizia delle differenze", l'abbattimento di qualsivoglia forma di antagonismo.
Al centro della vicenda il tentativo di una band che provava nel centro (gli ottimi Pila Weston) di salvare e proteggere i propri strumenti lasciati in una sala.
Un'intervista a Primo Moroni suggella, alla perfezione, il contesto in cui si manifestò l'evento.
Divertente, potenziale perfetta sceneggiatura per un film, mette insieme lotta politica e commedia all'italiana.
Acre come un lacrimogeno, godibile come la gioventù di un ventenne.
Fiamme e rock’n’roll. Romanzo veridico sullo sgombero del Leoncavallo, 1989 Nuova Edizione Speciale 50° del Leonka
Shake Edizioni
190 pagine
20 euro
venerdì, maggio 23, 2025
Casino Royale - Fumo
I CASINO ROYALE sono senza dubbio una delle band più rappresentative e innovative che hanno attraversato lo scibile musicale italiano dal punk in poi. In grado di evolversi in continuazione, dallo ska iniziale di "Soul Of Ska", "Jungle Jubilee" e la compilation "Ten Golden Guns" a forme sonore sempre più contaminate, tra rock, funk, hip hop, soul, elettronica, dub, drum and bass e tanto altro sublimate dal capolavoro "Dainamaita" del 1993.
"Sempre più vicini" è un ulteriore passo conforme ai nuovi suoni che "giravano intorno" con elementi trip hop e "Bristoliani".
Le successive mosse sono talvolta meno a fuoco ma sempre ad alti livelli creativi, fedel ial gusto per la ricerca e a quello spirito originarioi acquisito da un album come "Sandinista" dei Clash, una delle radici.
Da un'intervista che feci ad Alioscia (una delle voci della band) un paio di anni fa:
Stavamo surfando ancora su di un’onda lunga, siamo figli della New Wave intesa come moltitudine di nuovi stili o nuove sintesi.
Il nostro amore per i Clash ci ha sempre portato a seguire quel filo rosso che legava la nostra passione per quel tipo di contro cultura, schierata, meticcia e antirazzista.
E quel filo ci portato dritti nel mondo del reggae e quindi andando a ritroso in quello dello ska, prima quello della 2Tone, con l’apoteosi di quel disco dal vivo che era “Dance Crazy” e poi in quello giamaicano anni Sessanta. Lo ska agli inizi degli anni Ottanta era arrivato con l’ondata new wave insieme a mille altre cose dal Rockabilly, al New Romantic, all’elettronica di Sheffield a quella di Berlino, la No Wave di NYC. C’era molta curiosità ed entusiasmo e fame di novità, non molta consapevolezza delle radici di certi fenomeni, a pochi interessava storicizzare questi fenomeni, che erano anche molto recenti, venivano nella maggior parte dei casi vissuti come tendenze o mode.
Dal comunicato stampa:
Il nuovo album è impostato come una suite unica che lega i vari brani, colonna sonora in cui convergono tutte le varie variabili dell’amata black music, declinata in chiave moderna ma con agganci voluti ed evidenti alle radici.
Potremmo definirla una vera e propria "suite", un flusso di "immagini sonore" raccolte in brani, pensati per essere ascoltati in sequenza. La volontà è quella di andare in direzione contraria all'ascolto rapido veloce e superficiale che predomina spesso la fruizione musicale oggi.
Un racconto sonoro dove le parole descrivono gli scenari attuali, raccontando scontri, dualismi esasperati, ansie, pericoli e relazioni tra singoli e gruppi che portano ancora una volta in fine al voler affidarsi al "positivismo della volontà".
Fermarsi, osservare, riflettere e capire come agire e battersi per un cambiamento, uscendo dalla nebbia che rende questo universo dei singoli cieco ed intossicato dal "FUMO" che ci circonda.
In questo lavoro si torna a fare i conti con la storia attuale con questo clima pre apocalittico e lo si fa lavorando artisticamente in maniera collettiva a più mani e con più teste.
A fianco degli storici membri Alioscia e Patrick Benifei, le voci della giovane rapper Alda e di Marta Del Grandi.
Album stupendo e di altissimo livello soprattutto per l'immediata riconoscibilità di un sound distintivo, personale, con un marchio di fabbrica inimitabile.
I Casino Royale vanno, come sempre al passo con i tempi, li affiancano, li precedono, sono uno dei pochi gruppi veramente internazionali su cui possiamo contare.
Dub, reggae, elettronica, trip hop, funk, soul, con "Riprendermi tutto" che potremmo tranquillamente trovare in un ipotetico (già citato) "Sandinista" del 2025.
Sempre da quell'intervista ad Alioscia:
Siamo un gruppo “nebulizzato” viviamo tutti vite diverse, in luoghi diversi e ci troviamo tra noi nella nostra moltitudine purtroppo molto di rado. Alcuni suonano per professione, altri hanno progetti paralleli e lavori altri. Negli ultimi anni con immenso sforzo abbiamo prodotto cose interessanti a mio avviso, con il supporto e la collaborazione di quella che definisco una comunità che si sente legata alla storia ed al percorso di Casino Royale.
Dal comunicato stampa:
Casino Royale come un araba fenice rinasce sempre dalle proprie ceneri, guardando avanti, consapevole della strada fatta e della vita vissuta ogni giorno fuori dal contesto artistico musicale.
"Sempre più vicini" è un ulteriore passo conforme ai nuovi suoni che "giravano intorno" con elementi trip hop e "Bristoliani".
Le successive mosse sono talvolta meno a fuoco ma sempre ad alti livelli creativi, fedel ial gusto per la ricerca e a quello spirito originarioi acquisito da un album come "Sandinista" dei Clash, una delle radici.
Da un'intervista che feci ad Alioscia (una delle voci della band) un paio di anni fa:
Stavamo surfando ancora su di un’onda lunga, siamo figli della New Wave intesa come moltitudine di nuovi stili o nuove sintesi.
Il nostro amore per i Clash ci ha sempre portato a seguire quel filo rosso che legava la nostra passione per quel tipo di contro cultura, schierata, meticcia e antirazzista.
E quel filo ci portato dritti nel mondo del reggae e quindi andando a ritroso in quello dello ska, prima quello della 2Tone, con l’apoteosi di quel disco dal vivo che era “Dance Crazy” e poi in quello giamaicano anni Sessanta. Lo ska agli inizi degli anni Ottanta era arrivato con l’ondata new wave insieme a mille altre cose dal Rockabilly, al New Romantic, all’elettronica di Sheffield a quella di Berlino, la No Wave di NYC. C’era molta curiosità ed entusiasmo e fame di novità, non molta consapevolezza delle radici di certi fenomeni, a pochi interessava storicizzare questi fenomeni, che erano anche molto recenti, venivano nella maggior parte dei casi vissuti come tendenze o mode.
Dal comunicato stampa:
Il nuovo album è impostato come una suite unica che lega i vari brani, colonna sonora in cui convergono tutte le varie variabili dell’amata black music, declinata in chiave moderna ma con agganci voluti ed evidenti alle radici.
Potremmo definirla una vera e propria "suite", un flusso di "immagini sonore" raccolte in brani, pensati per essere ascoltati in sequenza. La volontà è quella di andare in direzione contraria all'ascolto rapido veloce e superficiale che predomina spesso la fruizione musicale oggi.
Un racconto sonoro dove le parole descrivono gli scenari attuali, raccontando scontri, dualismi esasperati, ansie, pericoli e relazioni tra singoli e gruppi che portano ancora una volta in fine al voler affidarsi al "positivismo della volontà".
Fermarsi, osservare, riflettere e capire come agire e battersi per un cambiamento, uscendo dalla nebbia che rende questo universo dei singoli cieco ed intossicato dal "FUMO" che ci circonda.
In questo lavoro si torna a fare i conti con la storia attuale con questo clima pre apocalittico e lo si fa lavorando artisticamente in maniera collettiva a più mani e con più teste.
A fianco degli storici membri Alioscia e Patrick Benifei, le voci della giovane rapper Alda e di Marta Del Grandi.
Album stupendo e di altissimo livello soprattutto per l'immediata riconoscibilità di un sound distintivo, personale, con un marchio di fabbrica inimitabile.
I Casino Royale vanno, come sempre al passo con i tempi, li affiancano, li precedono, sono uno dei pochi gruppi veramente internazionali su cui possiamo contare.
Dub, reggae, elettronica, trip hop, funk, soul, con "Riprendermi tutto" che potremmo tranquillamente trovare in un ipotetico (già citato) "Sandinista" del 2025.
Sempre da quell'intervista ad Alioscia:
Siamo un gruppo “nebulizzato” viviamo tutti vite diverse, in luoghi diversi e ci troviamo tra noi nella nostra moltitudine purtroppo molto di rado. Alcuni suonano per professione, altri hanno progetti paralleli e lavori altri. Negli ultimi anni con immenso sforzo abbiamo prodotto cose interessanti a mio avviso, con il supporto e la collaborazione di quella che definisco una comunità che si sente legata alla storia ed al percorso di Casino Royale.
Dal comunicato stampa:
Casino Royale come un araba fenice rinasce sempre dalle proprie ceneri, guardando avanti, consapevole della strada fatta e della vita vissuta ogni giorno fuori dal contesto artistico musicale.
giovedì, maggio 22, 2025
I Kiss solisti del 1978
Abilissimi gestori della propria immagine e carriera, i KISS, nel 1978, all'apice del successo commerciale, dopo i due live "Alive 1 e 2" e in procinto di diventare un fenomeno di portata planetaria con "Dinasty" (che uscirà l'anno successivo con il singolo "I was made for lovin you"), decidono di pubblicare, con una mossa unica nella storia del rock, quattro album solisti contemporaneamente (con quattro coperine uguali riportanti solo il nome di ognuno dei componenti).
Mossa azzardata, esigenze artistiche o volontà di capitalizzare (moltiplicandolo per quattro) il successo raggiunto?
I quattro album conquistarono ognuno il disco di platino (almeno 1.000.000 di copie vendute) ma il risultato commerciale fu ritenuto in generale deludente, a confronto delle abituali vendite della band.
Fu anche l'inizio di una serie di reiterati problemi, tra scissioni, litigi etc.
In realtà pare che la decisione di pubblicare i quattro lavori solisti fosse stata presa proprio per disinnescare la tensione che era salita a livelli incontrollabili nella band, con continue minacce da parte di ognuno di andarsene e intraprendere la carriera solista (pur se contrattualmente erano previsti i quattro album).
Si decise così di lasciare spazio ad ogni membro per dedicarsi alle proprie velleità artistiche.
PAUL STANLEY se la cava egregiamente con un lavoro a base di hard rock molto fruibile e nove brani autografi di ottimo livello.
Aiutato da Carmine Appice alla batteria e da Bob Kulick (che militò nella prima formazione dei Kiss, prima di essere sostituito da Ace Frehley, per poi suonare con i WASP, Lou Reed in "Coney Island baby" e Meat Loaf) alla chitarra.
Più vario l'approccio di GENE SIMMONS che, tra l'altro, non lesina in ospiti d'eccezione, da Joe Perry degli Aerosmith a Bob Seger, Rick Nielsen dei Cheap Trick, Donna Summer e Cher.
Gene canta e suona la chitarra, affidando il basso al turnista (da Mick Jagger a Pete Towsnhend, Lennon, Mc Cartney, Billy Joel, Paul Simon) Neil Jason.
C'è il tradizionale hard rock ma anche riferimenti armonici in pieno stile beatlesiano, rock più classico, qualche barocchismo e la bizzarra chiusura di "When you wish upon a star" dalla colonna sonora di "Pinocchio".
E' l'album dei quattro che arriverà più in alto nelle charts, al 22° posto.
Classico hard rock (con qualche sprazzo di power pop) quello di ACE FREHLEY (aiutato da Anton Fig e Will Lee che troveranno poi popolarità nella band del David Letterman Show), un po' sotto tono e prevedibile.
Il batterista PETER CRISS propone invece un lavoro scialbo e di scarsissimo interesse, tra pop, rock leggero, canzonette, arrangiamenti con fiati e synth.
Steve Lukather dei Toto suona in un paio di brani.
mercoledì, maggio 21, 2025
Lene Lovich
LENE LOVICH è tornata in tour con una serie di date in Gran Bretagna.
Scomparsa dalle scene nel 2012 (anche se il 6 giugno 2014 comparve sul palco del Lilith Festival a Genova, concerto che aprimmo con Lilith and the Sinnersaints) è timidamente risalita sul palco dal 2021, con, di solito, una dozzina di concerti all'anno vedi il tour in corso).
Un personaggio che si è sempre distinto per grande originalità sonora ed espressiva, mischiando new wave, una vocalità esuberante, influenze vicine a Devo e B52's ma con tinte barocche e cabarettistiche che hanno reso la formula particolarmente accattivante e personale.
L'esordio del 1978, "Stateless" ci sonsegnò due gioielli come "Lucky Number" e "Say When" che ebbero fortuna nelle classifiche inglesi e fecero capolino anche in Italia.
Meno incisivo il secondo "Flex" del 1980 con una versione discreta (ma non irresistibile) di "The Night" di Frankie Valli and the For Seasons.
Un album che risente di una certa ripetitvità pur se "Bird Song" (molto vicino a Siouxsie) le assicurò un post nella to 40 inglese mentre l'album si arrampicò fino al 19° posto.
"No Man's land" è del 1982 e perde l'ironia che aveva caratterizzato i lavori precedenti. Più serioso e solenne (vedi "Special Star" ad esempio) e votato al synth pop rimane comunque un un buon lavoro.
Il successivo "March" segna l'ultimo episodio discografico perima di un lungo silenzio. Un album abbastanza trascurabile e anonimo.
Tornerà nel 2005 con "Shadows And Dust", ultima apparizone su album. A fianco dell'immarcescibile duo Lene e il multistrumentista Les Chappell arriva Mike Thorne, produttore di fama che ha già lavorato con Roger Daltrey, John Cale, Bronski Beat, Nina Hagen, Laurie Anderson, Soft Machine, Wire e nella cover "Tainted Love" dei Soft Cell. Lene Lovich dimostra di sapersi evolvere, assorbendo anche elementi teatrali ("Remember"), da musical ("The Wicked Witch") perfino rap ("Shape Shifter") oltre agli immancabili echi di Siouxsie. Un buon lavoro.
Scomparsa dalle scene nel 2012 (anche se il 6 giugno 2014 comparve sul palco del Lilith Festival a Genova, concerto che aprimmo con Lilith and the Sinnersaints) è timidamente risalita sul palco dal 2021, con, di solito, una dozzina di concerti all'anno vedi il tour in corso).
Un personaggio che si è sempre distinto per grande originalità sonora ed espressiva, mischiando new wave, una vocalità esuberante, influenze vicine a Devo e B52's ma con tinte barocche e cabarettistiche che hanno reso la formula particolarmente accattivante e personale.
L'esordio del 1978, "Stateless" ci sonsegnò due gioielli come "Lucky Number" e "Say When" che ebbero fortuna nelle classifiche inglesi e fecero capolino anche in Italia.
Meno incisivo il secondo "Flex" del 1980 con una versione discreta (ma non irresistibile) di "The Night" di Frankie Valli and the For Seasons.
Un album che risente di una certa ripetitvità pur se "Bird Song" (molto vicino a Siouxsie) le assicurò un post nella to 40 inglese mentre l'album si arrampicò fino al 19° posto.
"No Man's land" è del 1982 e perde l'ironia che aveva caratterizzato i lavori precedenti. Più serioso e solenne (vedi "Special Star" ad esempio) e votato al synth pop rimane comunque un un buon lavoro.
Il successivo "March" segna l'ultimo episodio discografico perima di un lungo silenzio. Un album abbastanza trascurabile e anonimo.
Tornerà nel 2005 con "Shadows And Dust", ultima apparizone su album. A fianco dell'immarcescibile duo Lene e il multistrumentista Les Chappell arriva Mike Thorne, produttore di fama che ha già lavorato con Roger Daltrey, John Cale, Bronski Beat, Nina Hagen, Laurie Anderson, Soft Machine, Wire e nella cover "Tainted Love" dei Soft Cell. Lene Lovich dimostra di sapersi evolvere, assorbendo anche elementi teatrali ("Remember"), da musical ("The Wicked Witch") perfino rap ("Shape Shifter") oltre agli immancabili echi di Siouxsie. Un buon lavoro.
martedì, maggio 20, 2025
Genesis - Turn It On Again

Una delle migliori canzoni dei (nuovi, post Gabriel, in tre, votati a sonorità più facili) GENESIS è senza dubbio "TURN IT ON AGAIN", tratto dall'album "Duke" del 1980 e che raggiunse, come singolo, il numero otto delle classifiche inglesi.
Un brano dalla struttura apparentemente facile e scorrevole ma in realtà dal ritmo spezzato e "impossibile" che passa da un tempo in 13 /4 a 9/4 e si attesta sui 13/8.
Come ricorda Phil Collins (il riff è di Mike Rutheford che non si rese nemmeno conto della complessità ritmica fino a quando non glielo svelò Collins):
"Non lo puoi ballare. Vedi la gente che (ignara) ci prova ma perde continuamente il tempo".
Il brano è frutto dell'unione di due brani che Mike Rutheford e Tony Banks avevano composto per i rispettivi album solisti ma che alla fine avevano scartato.
Phil Collins accelerò il tempo del brano, inizialmente molto più lento.
Il testo, di Mike Rutherford, racconta la storia di un uomo che non fa altro che guardare la televisione. Diventa ossessionato dalle persone che guarda, credendole amiche. Mike Rutheford: "Avevo questo riff ma all'epoca lo suonavo più lentamente. E Phil disse: 'Perché non provi a farlo a una velocità maggiore?' e poi mi disse: 'Ti rendi conto che è in 13/8?' e io risposi: 'Cosa intendi, è in 13/8? È in 4/4, vero?' 'No, è in 13/8.'"
Durante le prove per il concerto di reunion del 1982 per raccogliere fondi per Peter Gabriel, rimasto schiacciato dai debiti per la prima edizione del suo festival WOMAD, lo stesso Gabriel si mise alla batteria per suonare "Turn it on again", sicuro che fosse un tempo lineare, rendendosi conto subito che era per lui pressochè impossibile.
Per fortuna c'era Chester Thompson...
Video ufficiale (1980)
https://www.youtube.com/watch?v=2B1ub5g5L0k
Three Sides Live (1981)
https://www.youtube.com/watch?v=kAH3dLmqk5I
Da "When in Rome 2007 DVD
https://www.youtube.com/watch?v=E66fYqOyiJI
lunedì, maggio 19, 2025
Paul Weller - Total look
Nel 1980 il New Musical Express pubblicò un articolo di PAUL WELLER, diventato particolarmente famoso (ripreso anche nel libro "Cool cats, 25 years of rock n roll styles") dal titolo "TOTAL LOOK" in cui precisa la sua visione del MODERNISMO.
L'articolo venne tradotto e pubblicato sulla mia fanzine "Faces" poco tempo dopo.
Credo sia interessante rileggerlo (pur se lungo e talvolta opinabile) e coglierne lo spirito giovanilista, provocatorio e cogliervi l'urgenza di quegli anni.
Generalmente è difficile assegnare una scala di valori a una cosa così personale come lo stile.
Forse il motivo sta tutto nel suo appeal.
E’ come quando un milione di persone dice che Picasso era un genio; bene, io penso che fosse spazzatura e che la copertina di un Ep francese degli Small Faces possa pisciare tranquillamente su tutti i suoi quadri.
Insomma, per capire quanto sia profondo il mio coinvolgimento con gli anni Sessanta, tutto va riferito al concetto di “stile”, e che non può essere giudicato confrontandolo con niente altro.
Un’influenza totale su di me, ma non cieca.
Il mio interesse riguarda gli anni del cosiddetto TOTAL LOOK, dal 1963 al 1967.
E’ un periodo che copre un'ampia gamma di fasi, dai primi modernisti ai giovani dandy della Swinging London fino agli edonisti hippy.
E' puramente estetico e abbastanza superficiale; raramente riguarda gli abiti, la musica, i film e i libri del passato.
La politica resti ai politici, per quel che mi riguarda loro sono sempre la stessa immondizia.
Non sono interessato alla politica o all’economia degli anni Sessanta, eccetto forse le rivolte studentesche del 1968, quando sembrava che l’intero mondo (giovane) avesse preso fuoco.
Le intenzioni e gli estremismi erano lodevoli, ma non posso fare a meno di pensare che anche quella fosse un’altra fonte di ricchezza nelle mani della middle class.
Molti di quei giovani radicali oggi hanno chiuso le porte ai giovani della working class.
Credo di parlare soprattutto del mondo della musica, della televisione e dei media in generale; il collo di bottiglia ai danni delle nuove generazioni lo hanno creato proprio questi vecchi bastardi che non vogliono cedere il passo.
In tutti i casi, non ce l’ho così tanto con loro: dubito solo di nutrire dei sentimenti pacifisti nei loro confronti. La prima volta che mi sono interessato ai Mod dei primi anni Sessanta fu nel 1974.
Non ricordo bene come e perché.
Probabilmente fu dopo aver visto la foto di un gruppo, o dopo aver letto un paio di lettere inviate da alcuni original mods al “New Musical Express”, in cui veniva descritto il loro stile di vita a quei tempi.
Il mio interesse era comunque profondo e cercai subito di conoscere meglio il fenomeno.
L’aspetto più importante era la musica degli anni Settanta: la odiavo in blocco, fino a quando non arrivarono nel 1974 i gloriosi e liberatori Sex Pistols.
Prima di loro c’erano le inconcludenti coglionate dei glam, il nonsense della musica soft, come il “Philly soul” e la terribile Mor radiofonica. Bowie e Bolan erano ok, ma avevo perso interesse anche in loro dopo in terzo o quarto LP.
Al contrario, tornai indietro ad ascoltare i primi dischi di rock ‘n’ roll, rhythm & blues e soul, oltre a quelli dei Beatles, dei quali sono sempre stato un fan.
Penso che la mancanza di stile e la blanda assenza di volti negli anni Settanta abbiano indotto la mia ossessione per i Sixties.
Non c’era nulla di cui far parte, nulla su cui basarsi (almeno nel periodo pre-punk).
In quei giorni noi Jam suonavamo ancora le canzoni di Chuck Berry e gli obbligatori standard rock ‘n’ roll che ormai ci annoiavano.
Iniziai a capire che essere un mod voleva dire partire da una buona base, avere nuove prospettive e ispirazioni per scrivere, pur restando, come gruppo, un’identità unica.
E così accadde.
Andammo a comprarci dei completi neri e iniziammo a suonare le cover delle label Motown, Stax e Atlantic.
Mi comprai una chitarra Rickenbacker, una Lambretta Gp 150 e provai un’acconciatura simile a quella di Steve Mariott nel ’66.
Mi faceva sentire così individualista e arrogante.
Era come se avessi costruito un mondo personale, la gente mi fissava e pensava che ero un tipo strano.
Lo stesso effetto lo ebbero su di me e i miei amici i Sex Pistols, quando li andammo a vedere nel 1976.
Che arroganza il giorno dopo al pub: “Non li avete mai visti? Non avete mai visto i Sex Pistols o Johnny Rotten?”.
Loro erano nostri, il nostro piccolo gruppo privato che tutta la gente uncool non aveva mai ascoltato!
Bene, in un certo senso io provai le stesse sensazioni di fronte ai mods.
Molti kids della mia età non avevano mai sentito parlare dei mods o, al massimo, li ricordavano solo come se fossero delle “bestie mitologiche” provenienti da “età oscure”.
Era diventata la mia crociata personale!
Se cercate fatti o cambiamenti cronologici nel campo della moda, allora basta un’occhiata alle foto, che dicono tutto sugli anni sessanta: un’immagine d Steve Mariott o un Pete Townshend diciannovenne dicono proprio tutto!
Tali immagini mi parlavano (e lo fanno ancora), mentre io cercavo di adeguare il mio look a quello dei mods.
Li vedevo puliti, eleganti, working class, arroganti e antiautoritari, senza alcun rispetto fondato sull’età.
L’intera immagine è C-O-O-L: fare le ore piccole ballando, schioccare le dita al suono di James Brown And The Famous Flames, o ancora fumare al ritmo del blue beat.
Fare shopping il sabato mattina a Carnaby Street o guardare Pete Townshend mentre distrugge tutto quell’equipaggiamento di valore
. E’ questo tipo di immagini che mi attrae, lo stesso tipo che, contemporaneamente, ha reso anacronistico il mod revival nel 1979.
Idioti del calibro di Ian Page (Secret Affair), un’ex-stella del punk decaduta che in seguito ha cercato fortuna come mod, hanno raccontato ai ragazzi che il punk era morto o che comunque non era andato oltre le proprie aspettative, mentre cercavano di convincerli a stringere un patto con i bastardi al potere. Cosa? Era la completa antitesi dello spirito originale del movimento mod degli anni Sessanta.
Loro, i mods, non volevano alcun patto fottuto, hanno sempre seguito le regole che loro stessi hanno inventato; se non ti piacevano queste idee, potevi sempre sparire (“f-f-f-fade away”).
Il revival del ’79 era anche un po’ triste e meschino per i kids coinvolti, o almeno disperato, con tutti questi ragazzi della working class che cercavano di mantenere pulito il loro stile estetico, mentre il mondo gli crollava addosso.
In questo però erano fedeli alle origini: dopo tutto, non era stato proprio il primo cantore mod e primo manager degli Who, Pete Meaden, a descrivere il modernismo come il “vivere puliti in circostanze difficili”?
Mi indicano sempre le differnze tra mod e “punk” ma è qualcosa che non ho mai notato. I modernisti hanno creato la loro scena personale proprio come hanno fatto i punk (anche senza aver beneficiato, nel campo dei media, dell’intraprendenza di un personaggio come Malcolm McLaren).
Entrambi sono movimenti di kids e non si appoggiano a nessun altro (in particolare il modernismo). Hanno creato un proprio stile di vita, con la loro musica, i loro club e i loro negozi di abiti.
A tale proposito, la prima volta che entrai al 100 Club di Oxford Street a Londra, mi sembrava di camminare sul set di un film degli anni Sessanta.
Attaccati al muro delle scale c’erano i dischi dei Troggs e degli Small Faces, mentre i Clash suonavano dei riff imparentati con quelli dei Kinks. Capelli corti! Kids con un look individuale! Il giro garage dei Pistols e la giovane arroganza indotta dalle anfetamine di Rotten. Io amavo tutte queste cose. Era qualcosa di giovane, eccitante e, certamente, non c’erano pantaloni a zampa d’elefante, una delle creazioni della moda più negative.
E’ fantastico quando i kids creano la loro scena, anche se tutto finisce con la popolarità o quando, più significativamente, se ne occuperanno i media.
E’ il momento dell’addio.
La massificazione rivoltante dei media ha ucciso lo spirito giovanile.
La stessa cosa è avvenuta al movimento mod delle origini, con tutti i supplementi domenicali sulla scena dei club che attraevano la gioventù “bene” di Chelsea (d’altronde, chi altro leggeva i supplementi della Domenica?).
E la stessa cosa è accaduta anche al movimento punk, soprattutto al Roxy Club di Covent Garden.
Tutti questi non più giovani segaioli della middle class, con i loro pantaloni in pelle da 30 sterline. Ma come sono oltraggiosi, mostrando una parte del capezzolo appena lavato…Ma guarda un po’, due ragazze che si baciano!
L’altra parte dei media, quella cosiddetta proletaria, attraeva a sua volta l’area modernista più attaccabrighe, nel tentativo di eliminare qualsiasi scena giovanile promettente. Proprio quest’area diede luogo alle noiose riots tra mod e rockers sulle spiagge inglesi negli anni Sessanta. Niente a che vedere con i veri modernisti o stylist, che voltavano le spalle alle volgarità di chi credeva di “aver conquistato l’intera nazione”.
Ma in fondo era l’establishment che illudeva i giovani, facendogli credere di essere a un passo da qualche conquista sociale, per poi modificare la situazione all’ultimo momento. O forse eravamo noi ad esserci annoiati definitivamente?
Forse l’ultima reale testimonianza della sopravvivenza dei mod originali rimane nella magnifica scena northern soul.
Ricordo ancora quando un paio di amici patiti di northern mi portarono ad un allnighter.
Questi ragazzi non erano lì per mettersi in mostra o per fare a pugni: i loro unici scopi erano ballare e divertirsi.
Anche se edonisti, i seguaci del northern soul ricordano da vicino lo spirito modernista originale. Ancora ascoltano e suonano sia il soul degli inizi che quello più oscuro degli anni Settanta. I vestiti sono diversi, ma da qualche parte si vedono ancora degli scooter ben accessoriati. Girate, saltate e fate pure a lungo le vostre acrobazie al suono di Dean Parrish!
Nel 1965 il movimento mod stava scomparendo un po’ ovunque, a parte alcune città di provincia nel nord del Paese. A Londra, la città dov’era nato, il modernismo era scomparso ai danni della nuova gioventù del jet-set. L’Inghilterra entrava adesso nei cosiddetti Swinging Sixties.
Gli ultimi veri mod marciavano ancora coraggiosamente come degli zombie silenziosi verso la Mecca (così si chiamava anche una celebre ballroom northern soul di Blackpool), che nei bank holidays aveva le sembianze di Brighton o Margate.mi torna in mente una triste canzone che non ho mai finito di scrivere, dal titolo The Last Of The Scooter Boys.
Mentre la scena mod si assottigliava e il fenomeno si commercializzava nelle mani di alcuni astuti approfittatori, il periodo compreso tra il ’65 e il ’66 rimane comunque quello della migliore produzione musicale e del più valido stile estetico.
Il modernismo aveva già avuto un forte impatto sulle band di allora, che copiavano il look dei kids (e non viceversa).
Dove sarebbero gli Who adesso se non avessero avuto contatto con i mods ?
Townshend ha sempre parlato a lungo delle sue influenze mod, mentre gli Small Faces, Rod Stewart, David Bowie e Marc Bolan provengono tutti dalla scena modernista.
Già nel 1965 però il business della moda controllava di nuovo i kids, mentre le bands diventavano a poco a poco più oltraggiose, usando lo stile estetico come un modo per attirare l’attenzione.
Gli Who adottavano lo stile pop-art, mentre i Creation, che li copiavano, portavano i loro quadri di canvas sul palco. Nel 1966 i Move di Birmingham adottavano un look stile gangster e la New Vaudeville Band sceglieva lo stile estetico e musicale degli anni Venti. E oggi (1981) a cosa assistiamo ancora?
Ogni band che si presenta allo show televisivo settimanale della Bbc “Top of the Pops” adotta la cosiddetta “immagine totale”. Stray Cats, Spandau Ballet, Adam And The Ants: nulla di tutto ciò è nuovo, ma è stato fatto infinite volte in precedenza.
Dopotutto, cos’è il revivalismo?
Per me non è altro che l’ennesimo tentativo di trovare un filone comune da seguire, una via, anche stretta, da intraprendere in massa. La stessa cosa in fondo si può dire del periodo tra il ’65 e il ’66, con la sua moda, i suoi vestiti…
Laddove i mods erano originali, l’era degli Swinging Sixties racchiudeva alla rinfusa un’accozzaglia di stili, ricordando il vecchio detto inglese “Se getti abbastanza merda sul muro… qualche pezzo alla fin e vi si attacca”.
In tutti i casi, questo periodo particolare fece dell’Inghilterra il centro della cultura giovanile, accessoriata con tanto di orologi, calzini, vassoi e magliette in stile Union Jack. “I’m backing Britain”, c’era scritto sulle spillette, ma senza un vero spirito patriottico o nazionalista.
Tutto era riferito a una grande sensazione di frivolezza, in cui personaggi come Harold Wilson incoraggiavano l’azione dei giovani e i Fab Four diventavano baronetti.
Ma non sono poi così sicuro che questa sia l’immagine corretta degli anni Sessanta e non quella suggerita da uno dei miei film preferiti, Blow Up, girato nel 1966.
Comunque le spillette e i titoli nobiliari esistevano davvero. La cosa positiva di quel periodo era il fatto che i giovani avevano un controllo maggiore in campi specifici, come il teatro, il cinema, la musica e la letteratura.
E inoltre, anche se ciò può sembrare eccessivo, per la prima volta i giovani Dj avevano una forte influenza sulla radiofonia inglese. Quando nel 1967 le radio private vennero abolite, il governo dovette creare la prima emittente ufficiale rivolta ai giovani, Radio One, arruolando doversi Dj tra quelli delle radio private. George Melly ha descritto con dovizia di dettagli la situazione della fine degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta nella sua retrospettiva Revolt Into Style. E’ un libro utile per osservare più da vicino la scena dei club della Swinging London, anche se, come nel caso di un altro volume sulla cultura giovanile degli anni Sessanta, Generation X, si rivela troppo cinico e distante. Resta comunque il fatto che per la prima volta si cercava di analizzare in maniera seria l’universo giovanile.
Nel 1966, dopo un paio d’anni necessari ad assimilare l’invasione musicale inglese – lanciata dai Beatles e seguita con facilità da molti altri grazie allo scoppio della beatlemania -, l’America iniziò a esportare i suoi gruppi e la sua scena in Gran Bretagna.
Insieme ai Byrds, ai Greatful Dead, ai Mother Of Invention, ai Jefferson Airplane e alle altre bands, arrivarono anche gli acidi, il misticismo, il free-thinking e il bohemianism. Amore e pace erano (e lo sono ancora) de sentimenti da ammirare… ma per essere indotti a farlo , che bisogno fottuto c’era delle droghe? A paragone ai gruppi del fenomeno underground inglese, le bands americane facevano schifo. Non era altro che blues velocizzato e allungato con noiosi assoli di chitarra. Ad ogni modo, il centro della nuova cultura giovanile si spostò dallla londinese Carnaby Street alla Haight-Ashbury Area di San Francisco, in California, che, ancora oggi, è piena di freak degenerati che ti dicono “Peace and Love” e poi ti chiedono un paio di dollari per le loro ormai innocue abitudini allucinogene.
L’avvento della scena hippy, cresciuta nell’underground sin dal 1965, tendeva a polarizzare la moda e gli stili musicali; sembrava che esistessero soltanto il pop e la musica “seria”.
Nei giorni migliori i mods avevano già mostrato aspirazioni simili all’etilismo e il loro odio verso la commercializzazione, ma non in maniera così dogmatica come è accaduto alla scena underground, che ha addirittura voltato le spalle alla musica soul.
Un altro paragone può essere fatto a proposito delle campagne sensazionaliste della stampa che, come era già accaduto per i mods, descriveva come “luride” le abitudini sessuali degli hippy, scagliandosi contro il loro stile di vita. Il 1967 dopotutto segnava la prima Summer Of Love e tutto ciò che la circondava.
Il nucleo del movimento underground inglese, organizzato principalmente intorno agli studenti degli art college e ai semiattivisti della middle class, comprendeva bands come i primi Pink Floyd, i Soft Machine, la Jimi Hendrix Experience e i Cream. Hendrix ispirò e diede credibilità alle acconciature in stile “afro” (meriterà mai il perdono?). Gli eccessi e le stranezze del nuovo stile trovavano un mentore nel brillante Syd Barrett, chitarrista originale dei Pink Floyd e uomo dal look e dalla personalità bizzarra.
Un altro gruppo che testimoniava la superficialità ed insieme l’instabilità del periodo hippy era quello dei John’s Children, allora con Marc Bolan. I loro dischi parlavano di fiori, ragazze giovani e sesso: tutto molto decadente.
Io ho sempre visto lo stile del 1967 in parallelo con quello degli anni Venti: la nuova società edonista si muoveva in fretta. In effetti, sembra che tutti gli anni Sessanta fossero vissuti all’insegna di una velocità furiosa, con gli stili e i gusti musicali soggetti a cambiamenti rapidissimi.
Insomma, il mio interesse finisce qui.
Come mi dissero una volta, ti serve solo osservare le foto dei Beatles dal ’63 al ’69 per prender nota di tutti i cambiamenti. Nel ’63 i volti erano freschi, da giovani ottimisti. Nel ’67 le mentisi espandevano, da giovani uomini in cerca di conoscenza. Alla fine del decennio le espressioni erano più dure, da vecchi uomini disillusi. Io non provo pietà e neanche rispetto: ognuno fa la sua scelta.
Solo che oggi la condizione dei giovani sembra essere tornata al periodo precedente a quello del ’56, quando i kids erano “spazzati sotto lo zerbino”.
In realtà lo zerbino non c’era negli anni Sessanta, l’avevano solo mandato in lavanderia per un po’.