venerdì, febbraio 17, 2017

Julie's Haircut - Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin



Il settimo album della band emiliana sancisce un ulteriore passo verso l'iperspazio, luogo che hanno ultimamente frequentato spesso.

Ma in questo caso si addentrano ancora di più con otto brani in cui rinnovano il concetto di psichedelia, intesa come espressione artistica senza confini, in cui confluiscono suoni, sensazioni, umori, vibrazioni.

Troviamo mischiati e sovrapposti avanguardia, (free) jazz, ritmiche pulsanti, kraut rock nelle sue più svariate declinazioni (dai Neu! ai Can) a comporre un sound unico, personale, distintivo.


Due parole a corredo del disco con Luca Giovanardi, chitarrista della band:

Un album che sembra frutto di un lungo lavoro di improvvisazione.

Lungo non direi: alla fine l’80% di quello che senti sul disco è frutto di due session di improvvisazione durate un paio di giorni l’una.
Poi certo, c’è stato un lavoro più minuzioso di produzione, editing, sovraincisioni, completamento.
Quello ha richiesto decisamente più tempo.

Il sapore generale è “psichedelico” anche se è una forma molto ampia e generica di come abitualmente intendiamo questo “genere”.

Non mi piace intendere la “psichedelia” come un genere.
Piuttosto come un approccio, che può riguardare la musica ma anche il cinema o la letteratura. In questi giorni sto leggendo “Jerusalem” di Alan Moore e ti assicuro che è molto psichedelico.

Un sound molto anomale per le orecchie “italiane”. E’ corretto dire che avete più riscontri all’estero ?

Ne abbiamo - pochi - ovunque, anche in Italia. L’estero però è più grande dell’Italia.

Immaginandovi con una pila di dischi che hanno influenzato direttamente questo album, quali sarebbero i titoli ?

Luca: Uh, domanda difficile. In quella pila ci mettiamo “Fun House” degli Stooges, “Journey in Satchidananda” di Alice Coltrane, “Selected Ambient Works I & II” di Aphex Twin, “American Beauty” dei Grateful Dead, “U.F.Orb” degli Orb, “Temples of Boom” dei Cypress Hill, “Europe Endless” dei Kraftwerk, “Tago Mago” dei Can e “Rock for Light” dei Bad Brains. Sono riuscito a confonderti ancor di più?

1 commento:

  1. Senza fare nomi, a volte è capitato di sentire musicisti che per fare i fighi dichiarano svariate influenze, anche quelle più underground, e poi se ne escono con dischi dove non se ne sente traccia. Anzi spesso siamo agli antipodi, nel puro e semplice commercio che di per se non ha niente di male. Però almeno non prendiamoci in giro.
    Evviva la coerenza e il coraggio di Luca Giovanardi e soci.

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